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Economia

LA MANOVRA DI MONTI, UNA MEDICINA AMARA

GIANFRANCO FABI - 10/12/2011

 

Ne avremmo tutti molto volentieri fatto a meno. Ma quando ci si rompe una gamba è indispensabile andare all’ospedale e sopportare, come minimo, una bella ingessatura. E così la manovra varata all’inizio di dicembre dal governo presieduto da Mario Monti è una medicina molto amara per affrontare le gravi malattie della situazione economica italiana: un altissimo debito pubblico, una sostanziale stagnazione, una perdita di competitività, una disoccupazione crescente in particolare per i giovani e per il Mezzogiorno.

Con in più il fatto che da almeno venti anni mancava una seria politica economica: la logica dei veti, della difesa dell’esistente, della mancanza di progettualità hanno coinvolto sia, e per più tempo, i governi di centro-destra, sia quelli di centro-sinistra. Monti ha presentato i provvedimenti come indispensabili a salvare l’Italia. Un’affermazione certamente enfatica, ma purtroppo realistica dato che a metà novembre l’Italia ha rischiato concretamente di sprofondare in una gravissima crisi finanziaria con conseguenze difficilmente immaginabili, ma sicuramente devastanti per l’intera società. Basti solo ricordare che senza il periodico ricorso ai mercati finanziari l’Italia dovrebbe sospendere il pagamento delle pensioni e degli stipendi ai dipendenti pubblici. E a metà novembre si sono pagati tassi altissimi pur di collocare nuovi titoli di Stato.

Quindi la manovra varata dal Governo Monti era indispensabile sotto il profilo finanziario per dare fiducia sulla volontà dell’Italia di affrontare e risolvere i propri nodi strutturali. Ma pur nella fretta e nella necessità di fare presto la filosofia che ha ispirato i provvedimenti è stata quella di accompagnare ai soliti e inevitabili aumenti delle imposte anche interventi di carattere strutturale destinati a modificare le tendenze in atto, quelle tendenze che hanno portato negli ultimi anni a una crescita incontrollata della spesa pubblica.

In questa prospettiva il governo ha varato una drastica riforma delle pensioni che tuttavia è soprattutto figlia della mancata volontà dei governi precedenti di intervenire in questo settore. “Il costo della politica – ha notato più volte Mario Monti – non è solo quello di stipendi, privilegi ed auto blu per i politici, ma è soprattutto nella volontà dimostrata negli ultimi anni di compiere delle scelte motivate solo dalla breve prospettiva elettorale”.

Le pensioni sono infatti uno di quei temi in cui bisogna avere la vista lunga perché sono uno dei maggiori capitoli di spesa pubblica, perché condizionano le scelte individuali, perché dipendono dalle tendenze demografiche che vedono, fortunatamente, un progressivo allungarsi della speranza di vita. Per mantenere le proprie promesse e per essere sostenibile a lungo termine un sistema pensionistico deve costantemente essere adeguato alla realtà. E questo vuol dire, in pratica, che l’Italia non può più permettersi di lasciare andare in pensione persone all’età media (ultimi dati INPS) di 58 anni, deve rivedere la formula delle pensioni di anzianità, deve modificare i sistemi di calcolo.

Se l’innalzamento dell’età pensionabile appare doveroso, ci sono tuttavia altri aspetti degli interventi del governo che sollevano più di una legittima perplessità. Primo fra tutti la sospensione dell’indicizzazione delle pensioni con la sola salvaguardia di quelle fino a due volte il minino (poco meno di mille euro). È un intervento che per una pensione di millecinquecento euro, già al di sopra della media, vuol dire un onere di circa trenta euro al mese: una cifra comunque significativa per un reddito basso. Si sarebbe potuto farne a meno? Probabilmente sì, magari intervenendo sulle aliquote delle imposte dirette, anche per evitare le facili critiche ad una misura sicuramente impopolare.

Nel suo complesso tuttavia la manovra appare necessariamente pesante, ma sostanzialmente equilibrata. Anche se mancano molte cose: le dismissioni del patrimonio pubblico per abbassare il debito, le liberalizzazioni vere delle professioni, i tagli sostanziali all’apparato pubblico e alle connesse prebende, così come gli interventi sul mercato del lavoro e per il Mezzogiorno.

Le critiche ad una manovra di questo tipo sono inevitabili ed in alcuni casi doverose: anche se stupisce che le critiche più aspre arrivino proprio da alcuni politici che erano al Governo fino a ieri e che sono stati, oggettivamente, i primi responsabili del dissesto che rischiava di travolgere il Paese.

Il primo obiettivo di Monti sembra comunque essere stato raggiunto: sui mercati finanziari si sono viste subito quotazioni più realistiche per i titoli italiani. Se anche l’Europa farà la sua parte forse potremmo dire di aver messo alle spalle la fase più pericolosa della crisi.

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