La storia si ripete e non importa se sono passati decenni. Gli errori, e gli orrori, si replicano. Come in un teatro dell’assurdo alla Ionesco, dove il dialogo è tra menti e voci non ben sintonizzate tra loro, dove il tempo appare sospeso in una bolla di niente. Se è vero pensare, secondo le regole della cultura e del buon senso, che la logica prevalente dovrebbe essere rivolta all’ottica della conservazione, anziché a quella della demolizione. Soprattutto quando ci si trova di fronte a patrimoni e monumenti i cui muri hanno respirato la storia quotidiana di una comunità, ma ancor più quella ufficializzata e scritta col dolore e col sangue. Ci si perdoni l’apparente retorica, ma retorica non è, è Storia.
E Varese ha vissuto nei secoli scorsi una Storia degna di chi ha cercato di difendere i valori. I valori, appunto. Si dice di temere ora, della nostra caserma varesina di Piazza della Repubblica, il tonfo del mattone o della tegola o del masso che cade sulla testa. Lo si dice da così tanto che nel frattempo, con stupore e timore di chi passa, sono spariti persino certi nastri bianchi e rossi che avvertivano del pericolo davanti alla facciata principale su via Magenta e sono stati installati, quasi a ridosso della stessa, alcuni parcheggi a pagamento. Mentre i quasi ruderi hanno fieramente, incredibilmente tenuto, flagellati dall’acqua e dal vento sempre più inclementi.
Ma pare che ora non si possa più aspettare. Pare che sia impresa sbagliata tenere su tutto quell’edificio, pieno di crepe e umiliato dall’incuria, nascosto dietro la dignitosa facciata rivolta alla stazione, e pare anche sia impossibile metterci mano per risanarlo con una cifra ragionevole. Più facile demolire, e questo nonostante demolire e ripulire sia uno scherzetto da cinquecentomila euro, perché si tratta di intervento notoriamente dispendioso. Ma poi si apriranno sul ground zero di Piazza della Repubblica nuovi orizzonti. Lo dicono i sorrisi soddisfatti, le strette di mano, le speranze di grandeur di chi ha convenuto che così dovrebbe essere un’area dove potranno nascere nuove strutture. Magari inarrivabili, non nel senso della loro incomparabile bellezza, ma nel senso che – qualcuno tra gli addetti ai lavori ha già azzardato – magari non arriveranno mai. Per operare bene, ha ragione la presidente degli architetti di Varese, ci vorrebbero concorsi nazionali e magari internazionali, senza dimenticare i tanti progetti già presentati in passato. Insomma, ancora una volta la storia, questa ci pare la morale dell’affaire caserma Garibaldi, si ripete. Si toglie e si taglia pensando di guardare avanti. E si rischia di andare indietro.
Si fece così sbrigativamente anche nel passato, si eliminarono a poco a poco i binari dei tram, si arrestò la scalata della funicolare lungo il dorso della montagna varesina. Ed ecco oggi una città tra le più inquinate. Se ci fossimo tenuti il vecchio, anziché sposare il nuovo e la ruota di gomma del bus, oggi saremmo al top della viabilità. La funicolare riattivata solo in parte, nel tratto che va al Sacro Monte, appare tuttora poco amata e ridotta all’immobilismo fatalistico da chi non ci crede e non sa guardare altrove. Là dove i tram soppressi, gli esempi nazionali e internazionali lo dimostrano, sono stati rimessi e potenziati, le funicolari sono ripartite con successo.
Altra pagina non gloriosa, nel ‘53 si demolì il teatro Sociale, sorse un palazzo brutto come tanti al posto del bell’edificio con le poltroncine di velluto rosso, caro ai melomani. Così che ancora oggi non disponiamo di un teatro serio, tranne quello “provvisorio” messo in piedi buttando giù, altro autogol, la struttura del mercato coperto in Piazza della Repubblica. Così seguendo ritorniamo al punto di partenza. Proprio la piazza in oggetto, un tempo piazza del mercato, ancor prima piazza d’armi, ribattezzata pomposamente piazza dell’Impero in epoca fascista, ha subito successivi rimaneggiamenti che l’hanno vivisezionata da ogni parte. Se ne andò un giorno qui anche il caffè Firenze, per far posto allo sgraziato mastodonte delle Corti, attorno ad altri infelici palazzi sorti come funghi, al posto delle ben più dignitose case di un tempo. Il monumento ai Caduti del Butti fu in seguito ricacciato in fondo alla piazza, dove era stato messo dopo esser stato tolto da piazza XX Settembre, quella dell’ex cinema Politeama. A proposito, la lista dei locali cinematografici, chiusi o umiliati, sarebbe a sua volta piuttosto nutrita: ricordiamo solo il Lyceum, il Vittoria, l’Impero forzosamente adattato a multisala, il Politeama, che sembra alludere anche nell’omonimia a un teatro quasi defunto citato nel film di Virzì, “Il capitale umano”.
Ora siamo all’ultimo (?) atto: quello della caserma, la caserma dedicata a Garibaldi nella città dove Garibaldi si guadagnò una delle più importanti vittorie risorgimentali, e dove Tamagno prestò servizio militare.
Quanti angoli di Varese risorgono, beneficiati da un’edilizia che s’ingegna a riparare in privato più che fatiscenti edifici di aree urbane, non essendoci ormai quasi più terreni edificabili?
Ma la stessa ben s’adatta a non seguire percorsi analoghi, quando nel pubblico si prendono decisioni tardive come questa di piazza Repubblica.
Povera vecchia caserma, ha ormai tutti contro. Il tempo, quello che avanza, non perdona mai.
Ma qualche volta a non perdonare è anche il tempo che ritorna, e di solito ritorna sempre a presentare il suo salato conto. Perché, allora, viene da chiedersi, non pensare le cose al momento giusto. Finché il tempo c’è.
Nelle foto: la ex caserma Garibaldi ed immagini della vecchia Varese
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