Tra il 4 e il 6 gennaio del 1964, Papa Paolo VI visitò la Terrasanta, dove quest’anno ha annunziato che si recherà anche Papa Francesco. Ecco come raccontò alla Radio Vaticana l’esperienza di allora monsignor Pasquale Macchi, il sacerdote varesino (1923-2006) segretario per venticinque anni di Giovanni Battista Montini e poi arciprete del Sacro Monte e vescovo di Loreto.
Subito dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, Paolo VI pensò di recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa. Ne diede notizia in forma riservata al cardinale segretario con uno scritto autografo che porta la data del 21 settembre 1963: «Dopo lunga riflessione e dopo d’aver invocato il lume divino, mediante l’intercessione di Maria santissima e dei santi apostoli Pietro e Paolo, sembra doversi studiare positivamente se e come possibile una visita del Papa ai luoghi santi, nella Palestina».
Finalmente un papa tornava sui luoghi dove aveva vissuto Gesù, e da lui aveva ricevuto il formidabile compito di «pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle». Fu un’intuizione suggerita dallo Spirito Santo e sviluppata in segreto per evitare complicazioni di ogni genere, e poi comunicata in San Pietro il 4 dicembre ai padri conciliari che approvarono con un lungo applauso. «Vedremo quel suolo benedetto, donde Pietro partì e dove non ritornò più un suo successore; noi umilissimamente e brevissimamente vi ritorneremo in segno di preghiera, di penitenza e di rinnovazione per offrire a Cristo la sua Chiesa». Insieme a monsignor Martin io stesso mi recai in Palestina per preparare il viaggio.
Il mattino del 4 gennaio 1964 Paolo VI partì da Roma con un Dc8 dell’Alitalia, primo papa a viaggiare in aereo. L’accoglienza ad Amman fu calorosa e cordiale da parte dello stesso re Hussein che lo scortò per tutta la sua permanenza nel suo territorio. Bisogna ricordare che allora la Terra Santa era divisa tra Israele e la Giordania. In macchina il Papa raggiunse Gerusalemme, fermandosi però al Giordano, presso il luogo dove secondo la tradizione Gesù venne battezzato. Qui sostò in preghiera e recitò il Padre Nostro.
Non posso dimenticare l’impatto con la folla che attendeva presso la porta di Damasco, e aveva ormai travolto gli spazi riservati alle autorità: la macchina del Papa ondeggiò come una barca e a stento il Papa poté varcare la porta che venne subito chiusa. Io stesso venni allontanato con forza e non mi fu possibile seguire il Papa: provvidenzialmente incontrai un palestinese che avevo conosciuto nei giorni della preparazione, e che mi aiutò a raggiungere il Papa. L’itinerario sulla Via Dolorosa fu drammatico: sembrava che il Papa venisse sommerso dalla folla, mentre lui era sereno e felice di poter salire il Calvario in più profonda unione con Gesù.
Giunto finalmente alla Basilica della Resurrezione, celebrò l’Eucaristia con immensa commozione; al termine invitò i presenti a nome di tutti gli uomini a rivolgersi a Cristo: «Prendiamo coscienza con sincero dolore di tutti i nostri peccati, dei peccati dei nostri padri, di quelli della storia passata, prendiamo coscienza di quelli del nostro tempo e del mondo in cui viviamo». Inizia poi la grande preghiera litanica di perdono: «Siamo venuti come i colpevoli che tornano al luogo del loro delitto… Siamo venuti per batterci il petto e domandarTi perdono, per implorare la Tua misericordia».
In quei giorni il Papa era tutto intento a rivivere l’esperienza evangelica in pienezza, riascoltando la voce di Gesù «forte, dolce, divina». È la voce dell’agonia del Getsemani, è il grido sul Golgota o il dono totale al Cenacolo, la voce silenziosa ma potente del Bambino nella grotta di Betlemme, la voce del nascondimento operoso di Nazareth, e quella delle Beatitudini dal monte che costeggia il lago dove avvennero i gesti emblematici del Figlio di Dio. Entrando in Israele ricevette il saluto del presidente Zalman Shazar, a cui rispose presentandosi come «pellegrino della pace, venuto per venerare i luoghi santi e per pregare».
A Nazareth, visitando il luogo della Annunciazione, chiese a Maria santissima di essere introdotto «nella intimità con Cristo, il suo umano e divino Figlio Gesù». Qui riprese le grandi lezioni del Vangelo: lezione del silenzio, della vita familiare, del lavoro, e poi offrì quasi una trascrizione in chiave moderna delle Beatitudini insegnate da Gesù. A Betlemme, dalla grotta dove nacque Gesù, dopo aver espresso la sua fede con immensa profondità teologica e un intenso slancio di commozione, da questo «luogo di purezza e di tranquillità dove nacque venti secoli or sono Colui che invochiamo come Principe della pace», rivolse un accorato invito ai capi di Stato perché si impegnassero a generare e conservare la pace nel mondo.
Un momento particolarmente intenso, ancora oggi presente alla mia memoria e al mio cuore, fu l’incontro con il patriarca di Costantinopoli, Athenagoras, venuto apposta a Gerusalemme per incontrare Paolo VI. Il primo affettuoso abbraccio avvenne la sera del 5 gennaio nella residenza della delegazione apostolica: i gesti, le parole, il Padre Nostro recitato nelle due lingue – latina e greca –, l’affetto e la stima che trasparivano così sinceri, tutto dava a vedere che qualcosa di grande e di unico stava avvenendo. Il Patriarca, dopo aver ringraziato Dio per questa felice occasione carica di speranze, ricordò con animo addolorato che «da secoli il mondo cristiano vive nella notte della separazione, e i suoi occhi sono stanchi di guardare nel buio». Nello scambio dei doni Paolo VI offrì un calice d’oro segno e speranza di una comunione completa, e ricordò che «le vie che conducono all’unione sono lunghe e disseminate di difficoltà, ma le due strade convergono l’una verso l’altra e approdano alle sorgenti del Vangelo».
Molte altre tappe condussero a luoghi carichi di memoria e di mistero: il bacio sulla terra insanguinata del Getsemani, la preghiera in ginocchio per terra nel Cenacolo, il bacio alla pietra sulla riva del lago dove Gesù affidò a Pietro la sua Chiesa, la salita al monte Tabor nella dolce luce del tramonto, furono esperienze che segnarono il cuore del Papa e lasciarono in noi un ricordo sempre più vivo. C’è un particolare che non vorrei tralasciare: nel suo saluto a Gerusalemme, nel territorio israeliano, Paolo VI coraggiosamente difese la memoria di Pio XII che in quei giorni la stampa aveva accusato di complicità con la persecuzione nazista contro gli ebrei.
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