Come ogni anno all’approssimarsi dell’inverno è emergenza inquinamento. Nebbia bassa e pesante, assenza di vento, alta pressione e tutta la congestionata Lombardia – Varese compresa – soffoca.
Ma cosa diavolo stiamo respirando? Basta passare un dito al mattino sulla carrozzeria della propria auto per rendersi conto delle polveri sottili nerastre che vi si depositano. Figurarsi nei nostri polmoni!
È emergenza ambientale, ma prima di tutto sanitaria. Varese ha già superato la soglia d’allarme dei cinquanta microgrammi di polveri sottili per metro cubo d’aria per ben cinquantasette giorni. E manca ancora dicembre; mese di solito criticissimo per le emergenze ambientali causa lo shopping natalizio e il riscaldamento domestico a manetta. L’anno scorso i giorni di superamento erano stati in totale “solo” trentotto. Le associazioni ambientaliste protestano e invocano piani e misure non solo contingenti, ma anche strutturali. I cittadini si preoccupano; i politici si danno un gran da fare per escogitare rimedi e soluzioni. Poi arriva il vento, gli acquazzoni e la neve e tutto viene dimenticato, rimandato all’anno successivo con buona pace di tutti. L’impressione è che ci si affidi – come sempre più spesso accade – allo “stellone” italiano, alla nostra proverbiale buona sorte per cavare le castagne dal fuoco. Si indicono riunioni programmatiche – che tra l’altro vanno buche – tra Amministrazioni confinanti, dimenticando che le decisioni e le misure vanno prese a tempo debito e non nella piena emergenza o perché una legge comunitaria ci impone delle azioni.
L’ARPA ci informa che le cause dell’alto livello delle polveri sottili nell’aria sono imputabili per un quaranta per cento alle combustioni non industriali – riscaldamento – e per un trentanove per cento al trasporto, traffico veicolare quindi. Da qui tutte quelle misure che anche localmente sono state prese o si ha in animo di prendere: domeniche a piedi, asfalto mangia polveri, controlli severi sullo stato manutentivo delle caldaie, restrizioni alla circolazione di mezzi inquinanti o obsoleti, riscaldamenti domestici e commerciali calmierati. Tutto giusto, se può servire; ne dubito, perché è evidente che siano solo delle pezze, dei rimediucci a un problema grosso, troppo grosso per i tecnici e gli amministratori comunali cui è affidato l’ingrato compito di risolverlo.
L’inquinamento dell’aria è un’emergenza così generalizzata e diffusa – planetaria oserei scrivere – che non è risolvibile solo con strumenti e poteri locali, quasi se le polveri sottili si fermassero ai confini comunali, regionali o nazionali. È anche limitativo e ingiusto addossare tutte le responsabilità e le colpe al Sindaco, all’Assessore o una determinata parte politica; possono – come è avvenuto – essersi dimostrati incauti, sprovveduti o tardivi, ma c’è un limite alla speculazione e allo sciacallaggio. Di fronte all’emergenza inquinamento, i nostri amministratori mi sembrano dei vasi di coccio costretti a viaggiare tra vasi ferro. Ci si barcamena tra un divietino, un controllo e una tavola rotonda dove si parla dell’ovvio e come tale non porta a nulla. Tanto arriverà il vento e la bassa pressione! Bisogna invece lavorare coesi e insieme, programmando, perché l’ambiente è un’emergenza troppo importante per farne oggetto di partigianerie o speculazioni.
Alle radici vere e profonde dell’emergenza inquinamento è il conflitto tra ambiente e modello di sviluppo della nostra società; è necessario avere il coraggio di porsi questa domanda: la nostra è una società che ha come priorità il cittadino, la sua salute oppure il consumo e la comodità?
Le automobili e le nostre città sono in aperta ed evidente antitesi: si tratta di scegliere se privilegiare le une o le altre e di pianificare di conseguenza.
Ha senso continuare a progettare parcheggi all’interno delle città o non sarebbe meglio portarli in periferia e potenziare altre forme di trasporto urbano? E i nuovi PGT – Piani di Governo del Territorio – che dovranno essere approvati entro il 2012 come si confronteranno con l’inquinamento dell’aria, che deve essere gestita non come un’emergenza stagionale, ma come una realtà purtroppo endemica delle nostre città? Non ho ancora sentito una parola, un intervento,una proposta su questo tema che è fondamentale per gestire la vivibilità della nostra futura città!
Nessuno a Varese parla di forestazione urbana, di portare all’interno della città aree verdi boschive, forestali, barriere di arbusti e siepi, di qualità e di quantità; di progettare e creare aree verdi a macchia di leopardo, ovunque e comunque, anche a scapito di quell’edilizia speculativa e di profitto che ci sta invadendo e sottraendo territorio. Ci si dimentica – e non lo scrivo per deformazione professionale – che gli alberi e il verde sono il più potente filtro per le polveri sottili, altroché l’asfalto mangia inquinanti! Eppure sempre più giardini a Varese scompaiono, sempre meno si pianta e si programma il futuro di una città che dovrebbe essere sempre più verde e diventa invece sempre più grigia.
Decisioni difficili, certo, di programmazione e non di demagogia, non popolari, a lungo termine e quindi che non garbano a molti politici. Ma necessarie; ben vengano, in questa fase, con questi valori d’inquinamento, anche i palliativi, che devono però rimanere tali e non divenire le ricette e le soluzioni. Altrimenti a furia di soli divieti, si arriverà, nell’emergenza estrema, al divieto massimo che ci verrà imposto: quello di non respirare.
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