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Cultura

LA NATIVITÀ DEL VERMIGLIO

PAOLA VIOTTO - 19/12/2013

Il piccolo Gesù, deposto sulla paglia della mangiatoia, rispende di una luce chiara, che illumina tutta la tela. La luce cade in pieno sul volto di Maria, china su di lui in adorazione con le mani incrociate sul petto. Giuseppe si volta verso i pastori che ancora sono nell’ombra e li invita ad avanzare verso il bambino. Sono venuti dai campi che vediamo sullo sfondo, punteggiati di pecore al pascolo, sono stati svegliati dal richiamo di un angelo apparso in un’aureola di luce. Sono arrivati scalzi e un po’ laceri, accompagnati dalle loro bestie. Hanno trovato una capanna dal tetto sfondato, costruita a ridosso di un edificio antico in rovina, di cui rimane in piedi solo una colonna scanalata. I volti e i gesti di quelli più lontani esprimono ancora la sorpresa e lo stupore, misti a curiosità, ma quello che ormai è riuscito ad avvicinarsi alla mangiatoia cade in ginocchio con le mani giunte, e il suo volto è finalmente illuminato dalla luce di Cristo.

La Nativitàdi Giuseppe Vermiglio coglie in pieno lo spirito del Natale, e lo fa usando dei due capisaldi del linguaggio artistico del Seicento lombardo: i contrasti di luce e di ombra e l’attenzione ai dati della realtà. La sua tela, dipinta nel 1622 per una chiesa di Novara, si trova nella Pinacoteca di Brera, ed è attualmente inserita nel percorso di una mostra che indaga uno dei periodi più interessanti della storia dell’arte lombarda. Seicento lombardo a Brera. Capolavori e riscoperte, è una mostra particolare, che non si basa su prestiti da altri musei, ma rende visibili dipinti e disegni che normalmente si trovano nei depositi, integrandoli con quelli che fanno parte del percorso espositivo normale. È l’occasione per ammirare, accanto ad opere che sono sempre visibili, tele sconosciute e sorprendenti come il Noli me tangere di Fede Galizia – pittrice nota in genere per le sue nature morte – e fogli fragili e preziosi, come i disegni dei più celebri Cerano e Morazzone, protagonisti dell’età borromaica.

Sono infatti i due grandi arcivescovi milanesi Carlo e in seguito Federigo Borromeo a porre le basi per la fioritura dell’arte lombarda nel primo Seicento ribadendo l’importanza dell’arte sacra nella vita della Chiesa e favorendo una pittura drammatica e coinvolgente, dal gusto spiccatamente teatrale. È l’ambito storico e culturale in cui fiorirono i Sacri Monti, compreso quello di Varese, in cui operò largamente proprio quel Pier Francesco Mazzucchelli, che prese il soprannome di Morazzone dal paese natio.

Il linguaggio artistico dei pittori borromaici era così comune e condiviso da permettere a Cerano, Morazzone e Procaccini di dipingere una tela in collaborazione. Il Martirio delle Sante Rufina e Seconda, comunemente noto come “quadro delle tre mani” è parte dell’allestimento permanente di Brera, ma è interessante in quest’occasione confrontarla con altre opere individuali dei tre pittori e vedere quanto in essa le tre diverse personalità abbiano saputo perfettamente amalgamarsi.

Altri pittori hanno battuto strade un po’ diverse, come lo stesso Vermiglio, che deve al soggiorno romano l’incontro con il lombardo Caravaggio, da cui imparò l’uso drammatico e simbolico della luce così evidente nella Natività.

I pittori della generazione successiva, attivi dopo il 1630, l’anno dell’epidemia di peste che segnò la fine di un’epoca, ripensarono criticamente l’eredità dei loro maestri, intrecciandola con influenze bolognesi, veneziane o genovesi. Tra di loro ancora nomi ben noti a Varese, come quello di Francesco Cairo e ancor più di Carlo Francesco Nuvolone, attivo nella terza e nella quinta cappella del Sacro Monte. Suoi sono infatti gli affreschi che circondano le statue della Natività, sua era anchela Fugain Egitto che si trovava sul muro esterno della cappella prima dell’intervento di Guttuso. Nella Pinacoteca di Brera possiamo vedere il suo volto in una tela in cui si ritrae insieme con la famiglia, che comprendeva altri due pittori, il padre Panfilo e il fratello Giuseppe.

La mostra sul Seicento lombardo dura fino al 12 gennaio, poi le opere che non fanno parte della collezione permanente torneranno nei depositi, in attesa che in futuro Brera trovi nuovi spazi. È un’occasione da non perdere, magari approfittandone anche per vedere il nuovo e controverso allestimento della Pietà di Mantegna.

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