Il Natale come festa liturgica data soltanto dalla fine del terzo secolo, mentre assoluto rilievo si conferiva alla Pasqua, festa del nostro riscatto e redenzione a motivo del sacrificio espiatorio di Gesù. In spagnolo Natale è la Pasqua della nascita in corrispondenza con la Pasqua della resurrezione. Solo che la natività storica segna appunto l’inizio di tutto il mistero della missione di Cristo nel suo progetto d’amore. Leggendo il Vangelo di Luca, mentre il primo capitolo ci narra gli avvenimenti occorsi al tempo di Erode, re della Giudea e il terzo quelli riguardanti il tempo di Tiberio, è il secondo che ci fornisce i dettagli dell’evento fondamentale della storia umana, sotto la dominazione di Quirino, procuratore della Siria.
Ci presenta Giuseppe, della casa e famiglia di Davide, che con Maria prossima al parto si avvia a Betlemme per il censimento, che segnava la presa di possesso non soltanto simbolica da parte della potenza romana straniera. Dei tumulti, delle sommosse, che caratterizzavano tale operazione, finalizzata alla riscossione di tributi ancor più gravosi, Luca non ci fornisce dettagli di natura politico-sociale.
Non essendoci posto all’albergo, Gesù nasce ed è posto in una mangiatoia, particolare che è segno di assoluta povertà. Già dall’inizio non lo si fa degno d’accoglienza. Soccorre al riguardo il prologo Giovanneo: e il mondo non lo riconobbe… e i suoi non l’accolsero.
L’umiltà, l’inermità, l’indigenza di un bambino sono poste paradossalmente a contrasto con le aspettative di gloria terrena e maestà poste alla base della visione messianica di Israele. Gesù non viene con la potenza, ma con l’amabilità, la disponibilità a donarsi fuori d’ogni apparato. Con lui e in lui tutto ciò che è piccolo, povero, respinto, debole è privilegiato in termini di grandezza spirituale e di gioia interiore. Il bambino divino costituisce il centro silenzioso della scena, come in prosieguo durante l’adorazione dei Magi; non è descritto, non è fatto oggetto di lode e di ammirazione, ma dà senso a tutto ciò che avviene.
L’annuncio gioioso non è riservato ai detentori del potere, ai dottori della legge, bensì alla semplicità dei pastori che vegliano all’aperto e di notte, al gelo, sui loro greggi. “E la gloria del Signore li avvolse di luce, onde il loro grande spavento. Ma l’angelo disse loro: Non temete, perché, ecco, io vi annunzio una grande gioia per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Messia Signore”. E fa coro la moltitudine dell’esercito celeste.
Questo è il Natale: un giorno per eccellenza di luce e di gioia per tutto il popolo (popolo e non massa). È una gioia che cambia la monotonia e l’uniformità della vita. Gesù, accolto nel cuore, determina un profondo, radicale cambiamento, tutto con lui può acquistare senso. Dio per primo ci cerca e prende l’iniziativa. Natale è fare posto al Signore che viene in libertà. La gloria è potenza d’amore nella comunicazione generosa di sé. E l’esempio di una adesione libera, incondizionata, della creatura umana è Maria.
La seconda lettura del giorno di Natale nel rito ambrosiano introduce la lettera a Tito, che al cap. 2, 11 ss. fa chiari i principi della scuola dell’incarnazione: è apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, insegnandoci a vivere nel secolo presente con saggezza, con giustizia e pietà, rinunciando all’empietà e ai desideri mondani, in attesa della beata speranza. L’empietà è la falsa conoscenza di Dio, i desideri mondani sono il potere, il successo, il denaro, cha vanno casomai ridotti a mezzi, non a fini. Come è paradossale e nuovo nella concezione della divinità l’abbassarsi, anziché l’elevarsi sopra tutto, questa logica di servizio presiede al significato del Vangelo nella direzione della povertà bene primario: “Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25, 40). Questo è il frutto della meditazione del presepe: essere per i poveri con una netta preferenza di campo culturale e nel contempo anche essere con i poveri, entrando nel penetrale dei loro animi, partecipando delle loro sofferenze. Bisogna farci poveri noi stessi, fruendo della libertà del distacco interiore. La pace annunciata dal Natale (Luca 2, 14) è una pace che viene dal di dentro.
A seguire il secondo capitolo di Matteo (Vangelo dell’infanzia) sviluppa il tema della venuta dei Magi (astrologi, esponenti della cultura pagana e superstiziosa, fuori della Rivelazione, ma esponenti di una società aperta, alla ricerca del vero bene degli uomini). Di contro sta la logica di Erode, dei capi dei sacerdoti e degli scribi del popolo, di una società arroccata nella difesa dei propri interessi: essa si rifiuta all’annuncio. Non li illumina la stella che ha guidato e guida i Magi dall’Oriente perché adorino il bambino celeste. E opaco risulta l’attendismo dotto e disquisitore dei sacerdoti di Gerusalemme. Dall’Epifania si diffonde la dimensione missionaria, ecumenica della buona novella. Paolo svilupperà la chiamata dei pagani alla fede.
La stella ci orienta tra le tenebre del peccato (della volontà come dell’intelligenza), ci salva dalle cadute personali, come dalle aberrazioni sociali. Ci aiuta a scrutare e scoprire i segni del Signore, Verbo fatto carne ed è anche simbolo della voce interiore che viene dallo Spirito di Dio.
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