“Il Guerriero d’Ardesia e l’Anatema del Drago sono forti, hanno un effetto potente”, mi confida con appassionata intensità, “ma Obelisk il Tormentatore è il massimo, devi sacrificare tre mostri per evocare questa carta. Praticamente è invincibile”.
Fa piuttosto freddo e rallento il passo per soffiarmi il naso. Di questi tempi, in questa Italia di forconi e forchettoni che negli ultimi vent’anni è diventata una cleptocrazia, in questo nostro Paese immiserito, violato con gioiosa brutalità, depredato dagli stessi che adesso spudoratamente spalleggiano i violenti, in questo clima sociale ammorbato da un nauseante lezzo di neofascismo, prendere sul serio le fantasie di un bambino di nove anni, oltre che salutare è un piacere incomunicabile.
“Stai parlando del fantagioco? Con quegli esseri dai nomi strani che emettono raggi o stillano sangue dagli occhi? Probabile che sotto l’albero di Natale troverai qualcuna di quelle carte”. “Speriamo”, dice il bambino. Poi sul suo viso cala l’ingombrante ombra del dubbio. “Volevo chiederti, ma i regali chi li mette sotto l’albero, Babbo Natale o i genitori?”.
Ci risiamo. Ti prendono alla sprovvista e non sai cosa dire. Ti guardano come si guarda un tramonto, e poiché se l’aspettano una risposta gliela devi dare, e guai a ingannarli. A questo punto sono in difficoltà e tossicchio per guadagnare tempo. Non riesco a credere che un tipo così sveglio, a proprio agio con tablet e computer come una scimmia su un albero di banane, perfettamente aggiornato sulla tecnologia automobilistica, con occhi e orecchie sempre bene aperti e uno sviluppato senso del paradosso, possa davvero ignorare come stanno le cose. Forse è vero che chi più sa più dubita. Decido di prenderla larga.
“Cosa ne pensano i tuoi compagni?”. “Uno mi ha detto che Babbo Natale porta i regali, li dà ai genitori e i genitori li mettono sotto l’albero. Ma a me sembra strano”. “In effetti. Io comunque non so dirti molto su Babbo Natale. Quando avevo la tua età quel vecchio con le renne non esisteva, i regali li portava Gesù Bambino”. “Ma tu ci credevi?”. “Non del tutto. Una volta desideravo una pistola e ho ricevuto una macchinina”. “Forse non gli piacevano le armi”. “Accidenti, hai ragione”, mi sento dire, “non ci avevo pensato”. Il bambino fa un sorrisino malizioso. “Ti dico una cosa. Una mia amica ha ideato un trucco. Si chiama Tea, che è un tipo di fiore. Ha preso la telecamera di suo fratello e la vigilia di Natale l’ha messa un po’ nascosta nella stanza dell’albero, poi è andata a dormire. La mattina dopo ha guardato con il fast-rewind e ha visto sua madre e suo padre che piazzavano i pacchetti”. Mi sembra un momento delicato, di quelli in cui è preferibile starsene zitti e aspettare. “Comunque”, conclude il bambino, “anche se ho già nove anni a me piace credere a Babbo Natale”.
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