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Lettera da Roma

DALLE ARMI ALLA PACE

PAOLO CREMONESI - 13/12/2013

Jocelyne Khoueiry

Arrivano brutte notizie dal Libano. “I prossimi sei mesi – ha avvertito il Ministro degli Interni dimissionario, Marcel Charbel- saranno difficili”. Tutte le agenzie di sicurezza sono in stato di massima allerta per il rischio di attentati legati al conflitto della confinante Siria.

In effetti la recente uccisione del responsabile del movimento sciita Hassan Laqqis e l’auto bomba contro l’ambasciata iraniana, con trenta morti, hanno rilanciato l’immagine di un paese “cassetta postale” dove le potenze vicine recapitano periodicamente i loro omicidi politici. Alla luce di questi avvenimenti acquista ancor più forza la testimonianza del movimento Femme du 31 Mai: donne libanesi, ex soldato, che hanno deciso di passare dal linguaggio delle armi a quello della pace.

La sua leader Jocelyne Khoueiry ha partecipato recentemente a Roma, ospite del Dicastero per la nuova evangelizzazione di Monsignor Rino Fisichella, alla presentazione di Tenacemente donne. Libro che, insieme alla sua, raccoglie le storie di dodici donne, diversissime per caratteri e contesti ma unite dalla testimonianza di un incontro personale con il Cristo.

Autrici di Tenacemente donne (edizioni Paoline) due giornaliste: Alessandra Buzzetti, varesina doc, si è fatta le ossa alla TGR di Milano e poi alla scuola di Gad Lerner. Gli spettatori del Tg5 sono abituati al suo telegenico volto che con puntualità e spigliatezza racconta le cronache vaticane prima di Benedetto XVI ora di Papa Francesco. Ugualmente professionale e con un tocco di sana ironia l’altra autrice, Cristiana Caricato. Partita dall’agenzia New Press ora è vaticanista a TV2000 e si divide tra cronache tv e articoli su www.ilsussidiario.net dove racconta quanto accade dietro i Sacri Palazzi.

Il libro raccoglie dodici testimonianze di casalinghe, giornaliste, madri di famiglie, volontarie, consacrate tra Italia,Pakistan, Stati Uniti e appunto Libano.

La storia di Jocelyne è una delle più drammatiche. Non ha ancora diciott’anni quando imbraccia per la prima volta un kalashnikov. Nel 1974 i palestinesi in territorio libanese sono trecentomila: un numero in grado di cambiare i rapporti di forza in uno Stato a struttura confessionale, dove le cariche sono divise in base all’appartenenza religiosa tra cristiani, drusi, musulmani. La guerra civile, quindici anni di combattimenti con un bilancio di centocinquantamila morti, scoppia l’anno dopo. La ragazza, a capo di una piccola guarnigione di donne soldato, è in prima linea e una notte durante uno scontro a fuoco particolarmente duro accade un fatto miracoloso che la spinge ad approfondire la fede cristiana vissuta sino ad allora solo come elemento identitario. Ne nasce un lungo e faticoso cammino di conversione che sfocia nella fondazione del movimento che ha come scopo “costruire ponti tra persone, famiglie, diverse comunità” raccogliendo il testimone lanciato da Giovanni Paolo II durante la sua storica visita del 1997.

L’ex donna soldato è convinta che la profezia di Papa Wojtyla non sia ancora compiuta. Il suo sogno è finire il restauro di un convento nel villaggio di Daraoun per trasformarlo nella Maison de la Libaneise: una casa per coppie in crisi che vogliano ritrovare l’unità. Quell’unità del paese che ne ha fatto sino ad ora un modello di convivenza tra diverse fedi in una bomba a orologeria, il Medio Oriente, sempre sul punto di esplodere.

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