La diagnosi è (quasi) giusta, ma la terapia è (quasi) completamente sbagliata. Mi riferisco alle tesi di Serge Latouche, l’economista francese profeta della “decrescita felice” e che ha suscitato grande interesse anche in una recente conferenza a Varese (ne ha riferito Margherita Giromini la settimana scorsa su RMFonline).
La tesi (quasi) giusta di Latouche è che bisogna limitare, se non bloccare, lo sfruttamento delle risorse naturali, bisogna porre dei limiti all’estensione delle coltivazione e alla pesca nei mari, bisogna mettere sotto controllo l’utilizzo di petrolio e gas naturale. In questa prospettiva i problemi indubbiamente ci sono: basti pensare alle emissioni che stanno provocando quello che viene chiamato “effetto serra”, con il progressivo riscaldamento globale. Ma sono fuori luogo le ipotesi catastrofiste, quelle che per esempio affermano che tra pochi anni si esauriranno le riserve di petrolio: non è vero perché continuano a crescere le risorse disponibili grazie alle nuove tecnologie che permettono esplorazioni in maggiore profondità e soprattutto l’estrazione del cosiddetto “shale oil”, il petrolio all’interno delle rocce, che permetterà agli Stati Uniti di diventare autonomi dal profilo energetico.
Di fronte a questi problemi la terapia proposta da Latouche non solo è irrazionale, ma rischia di aggravare ancora di più la situazione economica.
Se è più che doveroso un richiamo alla responsabilità di ciascuno negli stili di vita e nelle scelte di consumo, se è altrettanto necessario evitare sprechi e disuguaglianze, è tuttavia altrettanto importante sollecitare due strade: il rispetto della libertà delle persone da una parte e dall’altra l’incentivo a raggiungere non solo un maggiore benessere, ma anche a sviluppare la ricerca scientifica, a fondare nuove imprese, a seguire quel motto sintetizzato molto bene da Dante nella Commedia: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
In molte teorie ambientaliste, e almeno in parte anche in quella di Latouche, c’è una inaccettabile visione dell’uomo e dell’umanità vista come problema, come elemento che turba l’ordine naturale, come entità che deve essere sottomessa alle forze della natura. Tutto il contrario del messaggio cristiano che vede la persona, creata a immagine di Dio, al centro di una realtà che deve essere sottomessa e utilizzata per l’interesse di tutti e di ciascuno. L’uomo non è il problema, ma è la soluzione. Con la sua intelligenza, con la ricerca, con la volontà di crescere e di affermarsi. Lo afferma anche Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium: “La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano”.
Se quindi è doveroso lottare contro le disuguaglianze, contro le nuove povertà, contro l’esclusione e la precarietà, è altrettanto importante sottolineare come la tecnologia, il commercio mondiale e la globalizzazione hanno permesso di innalzare il livello di vita, di aumentare sensibilmente la speranza di vita, di diminuire in misura significativa (anche se non è mai abbastanza) la fame nel mondo.
L’enciclica Centesimus annus è straordinariamente esplicita sul tema della globalizzazione: “L’esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale”.
E allora vogliamo tornare all’autarchia? Vogliamo chiudere le frontiere ai commerci? Dimenticando che la ricchezza dell’Italia è nella sua industria e nelle sue esportazioni. Che solo grazie all’ingegno, alla volontà, allo spirito di iniziativa delle persone, degli imprenditori così come dei lavoratori, il nostro paese può trovare le risorse per avere il sistema sanitario e previdenziale, nonostante tutto, tra i migliori al mondo.
Attenti quindi alle lumache! La decrescita è un mito falso e pericoloso, buono per i salotti degli intellettuali. E attenti ai profeti di sventura: abbiamo già tanti problemi, cerchiamo di non aggiungerne inutilmente degli altri solo per dimostrare di essere ineguagliabili nell’arte di farci del male da soli.
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