Affectiva è il nome della società che si sta preparando a mettere in commercio un software capace di decifrare dalle espressioni del viso i sentimenti o almeno le reazioni emotive della persona che sta davanti alla telecamerina. Cito dal Corsera: “un software di affecting computing , una sorta di algoritmo dei sentimenti estratto sapientemente da un database che raccoglie due anni di lavoro di una serie di webcam che hanno ripreso e classificato un miliardo e mezzo di reazioni emotive di un gran numero di volti”.
Roba da spie? Nuova macchina della verità? Strumento di marketing, sostituto dei sondaggi, cui non si può mentire, come quando ci chiedono al telefono un parere sulle prossime elezioni e di solito diciamo esattamente il contrario o ci trinceriamo dietro l’astensione?
Gli addetti ai lavori (certi lavori) sono entusiasti, molti sono preoccupati per la loro privacy, già minacciata da redditometri, controlli incrociati, furti di password, esposizione mediatica sui social network, omologazione da globalizzazione, dittatura del relativismo e via discorrendo.
Sono certo che andrà a finire come con i temi più sensibili della bioetica: tutto quello che tecnicamente si può fare, diventa lecito. Ma non voglio stracciarmi le vesti, con quello che costano, lo lascio ai farisei
Prendo la faccenda da un altro punto di vista: quello utopistico di individuare un meccanismo che ci aiuti a leggere gli aspetti più intimi, normalmente segreti, della realtà per far crescere relazioni umane più giuste e felici. Non è un proposito spregevole e uno strumento che aiutasse in questo potrebbe stare meglio in mano ad una madre premurosa piuttosto che a un bieco tiranno. Chi non sarebbe lieto di capire meglio che cosa passa per la testa di una figlia adolescente? Poche parole ben studiate davanti a una telecamera, qualche domanda ad un’applicazione sperimentata ed ecco qua, ti capisco e subito dopo ti sistemo.
Che cosa non va?
Innanzi tutto lo strumento: mi sembra, in se stesso, superficiale, se non puerile. Senza arrivare a stendersi sul lettino dello psicanalista per comprare a caro prezzo quella che nel secolo scorso è stata considerata la panacea per le infelicità più profonde, già oggi le tecniche di gestione dell’opinione pubblica sono ben più raffinate e potenti, tanto che se ne fregano ampiamente di cogliere le nostre reazioni emotive, per tenerne conto. Ma se anche questo strumento arrivasse ad aggiungere capacità introspettiva “di massa” e “in tempo reale” a quello che già fanno le attuali tecniche, a chi gioverebbe e come?
Quale innamorato accetterebbe di sottoporsi, a richiesta dell’innamorata (e viceversa, e ovviamente con estensione a tutte le possibili combinazioni di sessi, per non essere tacciato di omofobia) al test dei sentimenti, per verificarne la sincerità e l’intensità? E se alcuni lo facessero (forse non sarebbero nemmeno pochi) quali conclusioni ne trarrebbero?
Mi pare che gli affetti siano della stessa natura della verità, sono questioni di fatto, stabiliscono un nesso tra persona e realtà, sono un incontro, unico, irriducibile a uno schema e spesso ad una aspettativa, tanto che si dice che agli affetti non si comanda. Ancor più visibilmente della verità, l’affetto è determinato, svelato da un inter-esse, da un essere comune a due soggetti, ad almeno due persone. Non è mai una cosa come tale ad emozionarmi, a darmi gioia o dolore, ma il nesso che stabilisce con me, fosse pure una martellata sul dito, o simbolicamente con un’altra persona o con un avvenimento già vissuto. Consentitemi di trascurare qui l’affezione per animali o per oggetti, riconducibili sempre ad una più ampia relazionalità, per arrivare al nocciolo del discorso.
Il punto vero non è indagare i sentimenti altrui, per farne un uso strumentale, ma conoscere i propri, alimentarli, nel caso correggerli. L’educazione sentimentale non dovrebbero essere affatto un’impossibilità o una remota utopia, accessibile a pochi fortunati o retaggio di tipi particolarmente “razionali”, alias “insensibili”. Sul tema della verità ho sostenuto che non ci importerebbe nulla di un discorso perfetto, puramente matematico o logico, chiuso in se stesso; allo stesso affermo che l’affetto che ci interessa coltivare ed esprimere è quello che corrisponde alla relazione che più ci soddisfa, che più profondamente ci costituisce. Già uno scrittore latino osservava che i greci avevano due parole per esprimere il concetto vasto di affectus: pathos ed ethos, delle quali la prima esprime il concetto di passività di fronte alla realtà, il secondo quello della libertà, notando poi che per il secondo occorre usare il termine mores.
Siamo dunque arrivati al punto: qualcosa mi colpisce e ne sono affetto e manifesto anche fisicamente, con qualche forma di comportamento reattivo questo mio essere “colpito”, ma non mi fermo a questo, perché, se voglio, sollecito la mia libertà a un giudizio e a un comportamento “riflesso” e non più solo “reattivo”, compio una scelta etica o morale, (tornano gli etimi greco e latino). Ciò che mi consente di andare oltre la reazione si chiama “affezione”, la risposta che la persona umana tutta intera, razionalità, sentimento e volontà, dà al buono, al bello e al vero incontrato, legandosi spontaneamente e razionalmente alle persone, al contesto umano e sociale che hanno reso possibile,’incontro. L’affezione diventa fonte di moralità e infine di bene comune.
Questo percorso di libertà non ce lo potrà né togliere né aggiungere nessun computer.
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