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Attualità

NOSTALGIA DI GALANTUOMINI

MASSIMO LODI - 06/12/2013

Nostalgia di galantuomini. La evoca l’addio a Dante Trombetta, uno di loro. Uno dei varesini-varesini. Lui non avrebbe mai detto: varesini doc. Il parlare forbito non gli era congeniale, semmai il contrario, il discorrere ruvido. Cristallino. Veritiero. Prendere le questioni di petto, mai girandovi attorno: ecco la sua costante preferenza, purtroppo non sempre in armonia con gl’interlocutori. Ah, quante ambiguità da incontrare e rimuovere nel cammino per il bene collettivo.

Come sanno tutti, è stato protagonista economico, sociale, sportivo. Il signor Robur, lo chiamerà un suo auspicabile biografo. Perché della Robur et Fides fu l’anima, il simbolo, la leggenda. Mai pessimista, sempre ottimista. Mai malinconico, sempre entusiasta. Mai rinunciatario, sempre propositivo. Un grido (un must, lo definirebbe la contemporaneità di moda) per riassumere il divieto di scoraggiarsi: alé fioeu. Lo lanciava – con il vocione da gradinata – nella palestra di viale 25 aprile, al tempo del basket pionieristico; ma lo lanciava anche nei consigli d’amministrazione della Centrale del latte e dell’Ospedale di Circolo. Guardare avanti, avere fiducia, resistere e insistere. Non retorica: concretezza. Veniva specialmente apprezzato per questa sobria decisionalità. Sobria nel senso che ci metteva poco a scegliere tra il sì e il no; chi ci stava, ci stava; chi non ci stava, pazienza.

È entrato presto e di diritto nel novero dei bosini esemplari. Innamorato della città, degli usi, dei modelli di comportamento, della tradizione, della lingua (cattedratico il suo dialettismo, meritevole d’una antologia di ricordi). Mostrava una chiara visione della vita: poche regole fondamentali, una manciata di valori da osservare, l’obbligo d’essere coerenti con i princìpi. Due opzioni privilegiate: la famiglia e la fede. Una gran bella famiglia, moglie e cinque figli. Una gran bella fede, partecipata e intensa. E poi il cuore. Che cuore. Invariabilmente a tutta pulsione: generoso e trascinante. Come l’umiltà, che scortava le certezze personali offrendo disponibile attenzione ai convincimenti altrui. Per capirci: lui cattolico fervente faceva segno d’imprevedibili aperture i laici della più tenace scorza. Non secondo la convenienza di scuola democristiana, ma secondo una cristiana inclinazione al dialogo.

Sapeva esaltare la comunità. Onorare le istituzioni. Esercitare la dialettica politica. Conosceva il momento in cui si dev’essere di parte; e poi quello in cui si dev’essere sopra le parti. Proprio perciò è riuscito, pur in circostanze talvolta difficili, a far sì che si rispettassero a vicenda. Un merito non ordinario in ogni epoca, e tanto più nell’epoca della straordinaria rimozione di quest’essenziale requisito civico.

Di Dante Trombetta (semplicemente “Ul Dantùn”, per i tanti che gli volevano bene e ne erano ricambiati) ci mancheranno le doti imprenditoriali e quant’altro è leggibile nella figura pubblica che ha contrassegnato oltre mezzo secolo. Ma ci mancherà in particolare l’osservanza quotidiana della libertà interiore: cercare un senso dell’esistere per sé e per gli altri, e poi comunicarlo senz’aver l’aria di volerlo. Una prerogativa morale appartenuta a chi, come lui, ha scritto pagine della nostra storia fingendo che fossero solo di cronaca.

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