Raccolse fondi per finanziare la spedizione dei Mille, collaborò con Mazzini e Garibaldi per realizzare il sogno dell’unità d’Italia e in tempo di pace fondò asili, creò associazioni operaie, istituì scuole professionali, cooperative di ragazze madri e di donne senza lavoro. Laura Solera Mantegazza, “la garibaldina senza fucile” per i biografi Redaelli e Teruzzi, fu una patriota risorgimentale, manager della beneficenza e femminista ante-litteram. Ricorre quest’anno il bicentenario della sua nascita: nacque il 15 gennaio 1813 e morì a sessant’anni, nel 1873, dopo una vita spesa a dare generosa assistenza alle classi disagiate.
Fu una donna energica e una “macchina da soldi”, come la definirono i contemporanei, per finanziare nobili cause. Grazie ai suoi ricoveri per i bambini lattanti, nel 1868, fece abolire la ruota dei trovatelli a Milano. Fondòla Società OperaiaFemminile che rinnegò la politica ottocentesca del “pezzo di pane” elargito dall’alto. Le operaie vivevano allora un’esistenza di privazioni e di stenti con orari massacranti, non usufruivano della pensione di vecchiaia e d’invalidità, se si ammalavano o restavano incinte erano licenziate. Per Laura andavano invece aiutate a rendersi indipendenti, con sussidi per la disoccupazione e sostegno alle ragazze-madri.
La sua scuola professionale in via Ariberto a Milano ebbe subito una funzione pratica. Consentiva alle ragazze di guadagnarsi il pane onestamente anche se non sposate e di aiutare economicamente il marito, in caso di bisogno. Così si formarono le prime telegrafiste, stenografe, dattilografe, contabili, artigiane, sarte e ricamatrici frequentando corsi quadriennali finalizzati all’impiego. “L’origine del male sta nell’ignoranza e il rimedio nella diffusione della cultura popolare – era il suo motto – lasciare negletta l’istruzione della donna è come trascurare quella della famiglia, di cui la donna è la base”.
Di famiglia luinese, sposata e madre di tre figli (Emilio, Costanza e Paolo, il più celebre, che diventerà fisiologo, senatore del Regno e divulgherà in Italia le teorie darwiniane), Laura visse tra Milano, dove aveva la residenza e il Lago Maggiore, dove trascorreva periodi di villeggiatura. Fra i parenti vantava un carbonaro, Antonio Solera, rinchiuso nella fortezza dello Spielberg con Silvio Pellico e Piero Maroncelli per i moti del 1821. Lo zio Francesco Solera fu invece ministro della guerra nel governo veneziano di Daniele Manin e il cugino, Temistocle Solera, avventuroso e geniale, fu il librettista del “Va’ pensiero” di Verdi.
Nella casa di campagna a Cannero, sulla sponda piemontese del lago, avvenne l’episodio forse più famoso della sua vita, una commovente appendice della battaglia di Luino. Laura seguì con il cannocchiale dalla Sabbioncella, la villa in cui soggiornava proprio di fronte a Luino, lo scontro a fuoco tra i volontari garibaldini e i soldati austriaci. Terminata la fucileria, mentre scendeva la notte, si fece portare con una barca a remi sulla riva lombarda, si presentò a Garibaldi che stava cenando in casa Crivelli e gli chiese il permesso di portare in salvo i feriti.
“Li curerò nella mia casa dall’altra parte del lago”, promise. Il Generale apprezzò lo slancio, fece sequestrare le barche necessarie, vi fece adagiare i feriti e per due mesi l’intera famiglia Mantegazza dormì sui pagliericci per lasciare i letti ai convalescenti.
Luino diventerà poi la prima città italiana a dedicare un monumento a Garibaldi vivente, nel 1867, l’anno di Mentana; mentre Cannero le ha intitolato la scuola materna e una strada. Laura è sepolta nella cripta del Famedio al cimitero monumentale di Milano accanto ai fratelli Domenico e Gerolamo Induno, ad Agostino Bertani e Carlo Tenca.
“La Mantegazza– spiega lo storico luinese Pierangelo Frigerio – appartiene alla non esigua schiera di donne che con diverse qualità e diverso impegno si distinsero nel quadro politico e sociale del Risorgimento. La mente corre all’eroico amor di patria di Adelaide Cairoli, all’inclinazione per la cospirazione e l’avventura di Jessie White Mario, all’anelito per l’emancipazione sociale di Alessandrina Ravizza. Nei salotti borghesi dove nel bene e nel male si costruiva la nuova Italia, le donne facevano ben altro che servire tè e pasticcini durante le riunioni elettorali”.
“Tanto per restare nell’ambito varesino basti ricordare Lucia Prinetti Adamoli, osservatrice appassionata dell’epopea garibaldina, moglie e madre di notabili della rinnovata vita politica ed Ernesta Napollon Margherita che d’Oltralpe portò l’ansia di riscatto per gli umili, a prezzo di una vita travagliata e randagia. Le componenti della cultura ottocentesca, per quanto traggano alimento da Rousseau e dal romanticismo, non potevano non destare nella sensibilità femminile fiammate di partecipazione – conclude Frigerio – ardori che ebbero la loro parte nella matrice umanitaria di cui s’alimentò l’ala progressista della borghesia italiana e per larga parte anche il movimento socialista”.
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