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Sport

D’INZEO STORY

ETTORE PAGANI - 29/11/2013

Neanche il vento, che quando sei in sella ti dà un fruscio strano, poteva interrompere il suo discorso con i cavalli. Non poteva perché lui – Raimondo D’Inzeo – con i cavalli aveva un discorso continuo fatto di sussurri, di uno schioccare di lingua, di un colpo di briglia e, quando non era in sella, anche di un solo sguardo.

Lui con i cavalli discorreva perché erano diventati parte della sua vita e, fin da ragazzo, aveva sperato di saltarci sopra per restare saldo su quella sella che, stando a guardarla, sembra tanto comoda ma che se non ne sei avvezzo fino alla confidenza, comoda non lo è proprio per niente. Ne prendi conoscenza quando per un colpo del cavallo ti ritrovi per terra quasi al pascolo tra l’erba o, peggio, sul selciato ad ammirare, da vicino, gli zoccoli del caro amico che volgendo la testa all’indietro quasi ti schernisce.

Era diventato, Raimondo, carabiniere forse più per il miraggio di far parte dei cavalleggeri che per amore per l’arma peraltro stimata in famiglia. E con la divisa dell’arma, sempre in sella ovviamente, aveva vinto tutto quello che si poteva vincere diventando un asso dell’equitazione italiana e portando il tricolore spesso sul pennone più alto o, altrimenti, nelle immediate vicinanze.

Era arrivato a superare – quanto a risultati – anche il fratello Piero che aveva cominciato prima di lui e che per un non breve periodo era stato il migliore in famiglia raggiungendo – pure lui – eccellenti risultati.

Due campionissimi dell’equitazione con un solo cognome. Stessa scuola, peraltro, e stessa posizione in sella. Un po’ anomala per l’equitazione, con una staffatura più corta rispetto a quella solita, più lunga, tipicamente adottata nei concorsi ippici.

Era un po’, quella dei due fratelli, una posizione in sella mista tra i concorrenti dei concorsi e quella dei fantini sugli ippodromi. Una posizione certamente più difficile da tenere. Per loro, però, il problema non esisteva. E, proprio per quel che qui si stava dicendo, avevano possibilità di montare anche sugli ippodromi dove soprattutto Raimondo aveva fatto qualche apparizione pur restando ferma la sua più frequente presenza nei concorsi ippici. Anche all’ippodromo varesino lo si era visto montare in una prova – ovviamente riservata ai gentlemen riders – non troppo fortunata per lui quanto a risultato finale.

A ottantotto anni si è addormentato certamente sognando i cavalli. E sicuro di riprendere il suo interminabile discorso con loro dall’altra parte.

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