In un pomeriggio piovoso di una domenica di ottobre, ho deciso che mi sarei dedicata al film comico di Checco Zalone di cui avevo apprezzato i due precedenti film, allegri, leggeri, non (ancora) volgari. Però non in una Multisala, dove il film, in quel week end, veniva proiettato a ripetizione, in ben cinque sale in contemporanea e, inoltre, con una replica “aggiuntiva” alle 23 e 30! Ho scelto una sala parrocchiale, in un tranquillo paese alle porte della città, senza problemi di parcheggio e senza code alle casse.
Mi sono ritrovata in compagnia di truppe scatenate di bambini e ragazzini, alcuni con i genitori, molti in piccoli gruppi autonomi, affettuosamente vigilati dal sacerdote che sovraintende i loro pomeriggi domenicali. Una sorta di ritorno al mio passato di bambina appassionata di cinema, di qualunque film si proiettasse al cinema dell’Oratorio alle quattro di domenica pomeriggio.
I bambini che si spostano da una fila all’altra, si chiamano, si lanciano le carte delle caramelle, disturbano allegramente la visione agli occasionali spettatori adulti. Osservo senza fastidio le diverse tipologie di persone accorse a vedere il film dell’anno e anche la confusione che accompagna la proiezione ci può stare: non si pretende per forza silenzio, attenzione, né grande concentrazione per un film comico
La storia raccontata nel film è conosciuta: un venditore di elettrodomestici, separato, in crisi finanziaria, con figlio undicenne intelligente e spiritoso, si muove dal proprio territorio di italiano in difficoltà alle ville dei ricchi, tra mille avventure e disavventure.
I bambini ridevano sempre alle battute del padre o del ragazzino; ridevano quando il padre rovescia sulla maestra una serie di improperi perché desista dal promuovere con tutti dieci il figlio, altrimenti gli toccherà mantenere la promessa di un premio speciale. Hanno riso per lo scambio di battute: “Papà cosa faresti se ti dicessi che sono omosessuale?”. “Meno male, figlio mio, credevo che fossi comunista!”. Hanno trovato buffe le tante scene in cui si potevano identificare con il protagonista loro coetaneo. Gli adulti in sala, invece, genitori, nonni, e adulti, in genere hanno riso poco. Anch’io, che agli altri film mi ero divertita, questa volta ho riso davvero poche volte (posso ricordarle: tre) e all’uscita dal cinema ero proprio annoiata e delusa.
Non faccio parte della schiera degli spettatori intellettuali che ridono, meglio, sorridono, solo alle freddure di Woody Allen. Il mio repertorio comico ha incluso nel tempo Totò, Benigni, Fantozzi, Albanese, Pieraccioni, anche il primo Zalone. Non ho la pretesa che un film comico sia un’opera d’arte. Ciononostante non riesco a parlare “bene” del film che ha risollevato le sorti del cinema italiano, in crisi profonda da tempo immemorabile. Un giro in rete mi ha convinto della presenza di giudizi “a catinelle”: positivi e negativi, indipendenti dalle posizioni politiche, ideologiche, culturali dei commentatori. Leggo che il film è piaciuto anche al critico cinematografico di “Avvenire”.
Ecco allora, esplicitata meglio, la mia personale critica. “Sole a catinelle” è un film furbo: la crisi economica, la coppia neo separata con i dispetti d’obbligo, il figlio che capisce tutto, un altro bambino, ricco, ma con problemi di autismo, è vanamente seguito da una psicologa stereotipata. La sua guarigione arriva dalle reazioni naif di Checco! Poi c’è la classe operaia di una fabbrica in procinto di essere delocalizzata, salvata da un’imprenditrice illuminata. E su tutto, le imprecazioni di papà che non piacciono, in un primo momento, al bambino beneducato. Ma in viaggio con papà, ecco che Nicolò abbandona il linguaggio da bravo bambino per compiacere il genitore, felice di essere finalmente imitato dal pargolo.
Un film per tutti, un film prenatalizio, dalla volgarità meno becera di quella dei cine panettoni ma pur sempre un film un po’ gretto, un po’ cafone.
Però una domanda seria ci sta: se Zalone diventa un fenomeno mediatico un motivo ci dovrà pur essere. Se noi italiani in massa ci divertiamo alle sue battute non sarà perché abbiamo bisogno di stordirci con sketch e barzellette di basso livello? È vero, la storia raccontata ci restituisce il paese così com’è e non come dovrebbe essere, sarà anche lo specchio fedele dell’Italia contemporanea, ma pensare di andare al cinema per veder riflessi i nostri difettucci…
Il bravo Zalone, che fa satira in TV, che è uomo di cabaret (ha fatto la gavetta a Zelig), è un comico da sketch. Efficace nei numeri singoli. Ma un film, il suo terzo, resta decisamente un’altra cosa: bisogna avere qualcosa da dire per reggere un tempo lungo, per ricucire tante gag in una storia che possa reggere novanta minuti.
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