Cinquant’anni fa, il 22 novembre 1963, John F. Kennedy, presidente degli Stati Uniti dal 1960, moriva a Dallas (Texas) ucciso a colpi di fucile da un attentatore. Questi venne in seguito arrestato ma poi, mentre era detenuto in una stazione di polizia, fu a sua volta ucciso a colpi di pistola da un ambiguo personaggio, certo Jack Ruby, proprietario di night club, il quale affermò di averlo fatto per vendicare l’uccisione di un presidente di cui era un grande ammiratore. Condannato alla pena di morte poi tramutata in ergastolo, Jack Ruby morirà in carcere tre anni dopo.
Pur senza indulgere a ricostruzioni di retroscena non dimostrabili né a specifiche accuse mai provate, restando semplicemente ai fatti diviene inevitabile concludere che contro Kennedy erano mobilitate potenti forze oscure. Quali fossero e perché volessero ad ogni costo la sua morte non è stato sin qui chiarito, ma il fatto in sé risulta indiscutibile. Quel che sul piano giudiziario non è sin qui emerso risulta invece evidente sul piano storico. Se poi si aggiunge che nel 1968 il fratello di John, Bob Kennedy, suo erede politico e aspirante candidato democratico alle elezioni presidenziali in programma in quell’anno, verrà pure lui ucciso da un attentatore altrettanto “venuto dal nulla” non ci si può che confermare in tale giudizio.
Su questo sfondo oscuro si staglia tuttavia in piena luce la figura di un presidente americano che, anche prima e tanto più dopo la sua tragica morte, ha goduto non solo negli Usa ma forse ancor più nel resto del mondo di una popolarità rimasta ineguagliata. Tanto per fare un esempio vicino a noi, si contano in Italia 1.082 vie o piazze intitolate a John F. Kennedy. Essendo attualmente i comuni italiani 8.092 ciò significa che circa un comune ogni otto ha intitolato una via al presidente USA ucciso a Dallas. Sono molte meno le vie e piazze intitolate a Raffaello, a Donizetti, a Mascagni o a personaggi del Risorgimento come Goffredo Mameli, autore di quello che oggi è il nostro inno nazionale, ai fratelli Cairoli o a Nino Bixio. Essendo inoltre la sua presidenza durata dal 1960 al 1963 come il pontificato di Giovanni XXIII e tanto più essendo egli il primo (e sin qui unico) presidente americano cattolico, dopo la loro quasi simultanea scomparsa i due personaggi vennero spesso visti, in Italia ma non solo, come delle specie di co-patroni di una primavera della storia troppo presto interrottasi.
Avendone materia, John Kennedy fu il primo leader mondiale a far curare l’ “immagine” sua e della sua famiglia da grandi professionisti della comunicazione. Questo in un’epoca in cui se da una parte la fotografia e la tv erano già giunte al più grande sviluppo tecnico, dall’altra la diffusione delle immagini sia fotografiche che televisive poteva ancora venire rigorosamente controllata. Grazie a tutto ciò non girava una foto né una ripresa televisiva di Kennedy e dei Kennedy che non aggiungesse un’ulteriore pennellata al quadro di una famiglia di gente bella, intelligente, sportiva, piena di vita e di salute. Viceversa non trapelavano minimamente quelle dicerie sulle sue (vere o presunte) intemperanze sessuali che invece adesso occupano nelle rievocazioni della vita di Kennedy uno spazio comunque sproporzionato.
John Kennedy era giunto alla Casa Bianca all’età di soli quarantasette anni, dopo una sequenza di presidenti anziani (Roosevelt, Truman, Eisenhower) e dalla vita quotidiana molto riservata. Con i suoi figli bambini accuratamente fotografati mentre giocavano sulla moquette degli uffici presidenziali dava un segnale di giovinezza e di stile di vita disteso che incantava l’opinione pubblica non solo degli Stati Uniti ma anche dei più diversi Paesi del mondo.
Sin qui l’ “immagine” di Kennedy e del kennedismo, che in ogni caso ha avuto un suo peso e un suo ruolo nella storia di quegli anni. Ciò fermo restando, se poi si va a vedere quale sia stata la sostanza politica della presidenza Kennedy il quadro assume per vari aspetti tinte anche molto diverse. Beninteso, siamo di fronte a un progetto politico pensato per attuarsi in quattro/otto anni e invece interrottosi dopo soli tre anni. Quindi per definizione non è possibile sapere quale ampiezza e quale complessivo orientamento avrebbe potuto avere procedendo fino al suo termine naturale. Pur nei limiti di un’analisi che può solo limitarsi a ciò che già si era delineato in quei primi tre anni, la presidenza Kennedy appare comunque molto meno benevola e solare di come veniva allora raccontata e di come resta perciò nella memoria comune.
Trovandosi al timone di un Paese che era allora al culmine della sua super-potenza, Kennedy di tale super-potenza fece ampio uso, infine con successo sul teatro principale della Guerra fredda ossia nel confronto diretto con l’Unione Sovietica, ma invece ponendo il seme di futuri drammi su altri scacchieri, in particolare nel Sudest asiatico. Troppo spesso ci si dimentica infatti che fu lui a mettere in moto il processo che poi sfociò nella guerra in Vietnam. Sul piano interno la sua politica sociale fu assai meno innovativa di quanto avesse promesso in campagna elettorale. E con grande delusione degli afro-americani, molto più tiepido di quanto ci si aspettava da lui fu anche suo impegno nella lotta contro la segregazione razziale. Infine la sua politica industriale, prioritariamente orientata allo sviluppo dell’esplorazione dello spazio e al rafforzamento dell’apparato militare, determinò per contraccolpo quell’indebolimento dell’industria manifatturiera civile che a lungo termine ha spinto gli USA nella posizione allo stesso tempo potente e debole in cui si trovano adesso: quello di una potenza non tanto economica quanto sostanzialmente militare e monetaria che si finanzia vendendo debito pubblico all’estero. Una posizione in realtà assai poco invidiabile.
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