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Attualità

DANNI MORALI RICONOSCIUTI AI GENITORI

FRANCO GIANNANTONI - 29/11/2013

Da una parte il “fidanzato” ventottenne, latin lover, brillantina, tatuaggi, sguardo tenebroso alla “Rodolfo Valentino” che usa maltrattare la “fidanzatina” diciannovenne, fragile e pallida come Greta Garbo, la quale, malgrado le percosse e le angherie per l’amore che notoriamente è cieco, tace e incassa.

Dall’altra i genitori di lei che assistono impotenti allo spettacolo senza potere o voler fiatare limitandosi a qualche parola di incoraggiamento e a qualche timido consiglio di farla finita (“mollalo, mollalo”) che produce, è un classico, l’effetto contrario. Quella, perduta, tira diritto andando a fracassarsi contro il muro.

Per fortuna siamo in uno Stato di diritto malgrado qualcuno ogni tanto lo metta in dubbio e, infatti, il Tribunale penale di Milano, nel pieno di questa stagione segnata quasi quotidianamente dalla “violenza sulle donne”, condanna lo stalker a tre anni e quattro mesi di reclusione “per atti persecutori” e, ecco la sorpresa, inedita in Italia – un’inversione di tendenza sostanziale- a versare diecimila euro al papà e alla mamma della “fidanzatina” per i danni morali loro provocati.

Perfetto. Il giudice ha saputo con maestria muoversi dentro la brutta storia e, malgrado la “fidanzatina” non si sia sentita offesa da alcun reato (!!!), ha saputo cogliere nell’impotenza dei poveri genitori il diritto violato. Cioè tutto quello che quel manigoldo ha gettato all’aria: serenità, equilibrio, rispetto, civismo. In due parole ha voluto fare ripagare quella “sofferenza psicologica” provata dai due coniugi nel vedersi sottratta la figlia dalla propria sfera affettiva.

La storiella è come altre mille. La ragazza, ricordo diciannovenne, vive in casa dei genitori in perfetta armonia, quando sulla scena appare “lui”. La coppia tira avanti qualche mese poi come accade nelle migliore famiglie si “fidanza”. Decisione presa molto male dai genitori di lei (dei genitori di lui non si sa niente). I rapporti vanno a quel paese e degradano sempre più dal momento che i genitori vengono a sapere o intuiscono che il “fidanzato” usa le mani per discutere.

La strategia a quel punto appare difficile. Che fare? Bastone e carota, decidono i genitori nel tentativo disperato di salvare l’amatissima figlia che non se ne dà per vinta. Incrollabile resta in trincea con l’amato. Becca manrovesci e insulti e ringrazia sentitamente. Il cambio di marcia cioè la cacciata della ragazza da casa non serve a cambiare rotta. Cotta marcia, la poveretta nega di essere maltrattata (i segni la smentiscono). Difende appassionatamente il compagno e rompe con i genitori.

La denuncia lei non la fa. Non ci pensa neppure. La fanno i genitori, il che dà il via all’inchiesta penale e al processo davanti al Tribunale di Milano competente per territorio. Secondo il Pubblico Ministero Stefano Ammendola dubbi non ce ne sono, tutto è maledettamente chiaro per cui accusa l’uomo del reato di “maltrattamenti in famiglia”. Le prove, roba da far rizzare i capelli: trauma cranico facciale, frattura del pavimento orbitario, ecchimosi varie. Non solo: controlli ossessivi e telefonate nel pieno del giorno e della notte, roba da polizia segreta.

Secondo il giudice per le indagini preliminari Alfonsa Ferraro, dal momento che la coppia convivente non integra la categoria della “famiglia” modifica l’accusa da “maltrattamenti in famiglia” in “atti persecutori” (stalking) perseguibile anche se la vittima non si attiva come nel caso.

Il manesco “fidanzato” ora è agli arresti domiciliari avendo optato per il rito abbreviato il che ha permesso una riduzione della pena a tre anni e quattro mesi. Alla vittima che non si è costituita parte civile non è stato riconosciuto alcun risarcimento perché continua a ritenere, contenta lei, di aver ricevuto baci e abbracci invece di cazzotti.

Parte civile si sono invece costituiti, e a ragione, i genitori che si sono visti riconoscere dalla magistratura quei danni morali che vanno dall’aver dovuto assistere, impotenti, alla coartazione e all’annullamento della volontà della loro figlia e alla successiva impossibilità di mantenere con la stessa, prigioniera d’amore, rapporti affettivi completamente (anche ora) compromessi.

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