Negli ultimi due decenni si è cullata l’illusione che per dare vita a una moderna democrazia fosse sufficiente cambiare la legge elettorale passando dal sistema proporzionale a quello maggioritario. L’effetto è stato esattamente il contrario; non si sono create coalizioni omogenee ma forme di alternanza ibride, con una frammentazione del sistema partitico che non ha favorito la governabilità del Paese. I partiti stanno faticosamente cercando una alternativa che consenta di contemperare le esigenze della rappresentatività popolare con quelle di una efficiente gestione della cosa pubblica. Il problema da risolvere non è facile perché il sistema elettorale non è neutro rispetto a una democrazia di qualità ma il vero nodo politico è la forma di governo che comporta una modifica della Costituzione.
La “legge Acerbo” del 1924 spianò la via all’affermazione del fascismo e mise in minoranza le forze democratiche prima che fossero sciolte da regime: l’attuale “porcellum” invece fu approvato su misura per consentire la vittoria del centro-destra ed emarginare il centro-sinistra. Fu un “golpe” in piena regola che però non incontrò la ferma opposizione della vittima designata. Non è pensabile che il risultato devastante per la democrazia italiana non fosse stato previsto dai DS e dai Popolari; in realtà la legge – definita dal suo autore Roberto Calderoli come “una porcata” – conteneva elementi di attrazione, per motivi inconfessabili ma reali, anche per l’opposizione. Le liste bloccate e le preferenze prestabilite facevano comodo alle oligarchie; l’esperienza del proporzionalismo era per entrambi i partiti un retaggio storico ma non aveva più senso in una situazione in cui erano cadute le ideologie, le idealità e l’idea del progetto.
Fu un’operazione scorretta e faziosa, di dubbia legittimità costituzionale, con meccanismi e artifici che hanno ribaltato gli equilibri delle forze in campo e devastato il sistema democratico delineato dalla precedente legge, il “mattarellum”. Veniva abolito il sistema uninominale che permetteva l’emergere di candidature autorevoli, radicate sul territorio, e che favoriva il centro-sinistra, mentre nel proporzionale era più forte la spinta a favore del “berlusconismo”. Reintroducendo il proporzionalismo derivava l’esaltazione dell’identità dei singoli partiti (che però non rappresentano più una porzione di popolo raccolta intorno a un ideale di cambiamento in antagonismo ai “notabili”) ma sono aggregazioni individualistiche intorno alla leadership e, spesso, rappresentano un’idea proprietaria. Si è introdotta così nel nostro sistema una dinamica opposta alle grandi coalizioni e al bipolarismo che ha fatto deflagrare l’Ulivo e radicalizzato la lotta politica che si incentrava sul notabilato di partito e sulle correnti, le quali, a differenza di quelle democristiane, non hanno un orizzonte culturale ma soltanto una logica personalistica.
Nel “porcellum” non é prevista alcuna soglia di sbarramento per conquistare il ricco premio di maggioranza, basta un voto in più per portare via l’intero bottino; ma il meccanismo ebbe un effetto “boomerang” nelle ultime elezioni allorché Berlusconi perse con solo lo 0,3 di scarto.
La faciloneria, il desiderio di trarre vantaggi di parte, l’indifferenza verso le conseguenze degli atti legislativi non sono nuovi nel centro-sinistra: la modifica frettolosa del Titolo V della Costituzione, anche se approvata da un referendum popolare, ha smantellato i controlli sugli atti e sulle spese delle Regioni aprendo il “vaso di Pandora” della micro-corruzione del personale politico e della burocrazia.
Da questo errore fatale è cominciato il processo di “autodafé”, di autodistruzione, del Partito Democratico, con una frammentazione interna che non ha precedenti neppure nella storia democristiana e non ha risparmiato neppure la concezione “proprietaria” del Popolo della Libertà, che si è scisso recentemente in due tronconi.
Rispetto al recente passato anche il “mattarellum” (che a suo tempo fu oggetto di feroci critiche) non risponde più alle necessità concrete del Paese che vede l’evoluzione del bipolarismo in un assetto tripolare in cui nessun soggetto o coalizione è in grado di raggiungere la maggioranza.
Bisogna diffidare però dalle iniziative estemporanee, dalle soluzioni personalistiche, dalle improvvisazioni e dai pareri non sempre calibrati sulla realtà… In questo come in altri casi occorre che i partiti avviino una elaborazione culturale che, avendo presenti i molteplici aspetti della questione e i diversi risvolti pratici, non si affidi alla lotteria dei pareri ma si basi su “modelli” scientifici costruiti sui dati obiettivi. Ovviamente, a questo punto, l’urgenza è indiscutibile, in quanto è verosimile che la Corte Costituzionale dichiari la legge elettorale, in tutto o in parte, non conforme alla Costituzione; d’altra parte una modifica affrettata della attuale normativa in modo da eliminare gli aspetti controversi potrebbe costituire un incentivo a tentare l’alea di nuove elezioni che bloccherebbe inevitabilmente la ripresa economica e metterebbe a rischio la governabilità.
Occorre anche rendersi conto che il metodo proporzionale non ha più senso in un sistema dove i partiti non hanno più ideologie e riferimenti ideali e che l’unico elemento qualificante è il programma (anch’esso purtroppo assente nei partiti). D’altra parte il ritorno alle preferenze “libere” deve considerare due fattori: la presenza di gruppi organizzati (anche criminali) che possono organizzare il voto e il “costo” della politica: non bastano più i “santini” di una volta, i candidati devono avere una disponibilità di risorse personali non trascurabili. Meglio il sistema uninominale ove concorrono, per ciascun collegio, personaggi conosciuti e stimati che possono attrarre consensi e mobilitare risorse e capacità per il servizio pubblico.
Tuttavia l’Italia non deve dimenticare l’esperienza liberale dei “notabili” che per lungo tempo ha impedito l’ingresso nelle sedi istituzionali dei rappresentanti dei movimenti popolari. Anche il “doppio turno” è una possibile alternativa pur tenendo presente l’obiezione che i nostri concittadini, tra un turno e l’altro, possono cambiare opinione per saltare sul carro del vincitore.
Il premio di maggioranza è percepito come una necessità ma deve essere assegnato al partito realmente rappresentativo di una importante frazione dell’elettorato e non può dare a nessuna forza politica il doppio o più dei seggi cui avrebbe avuto diritto in base ai voti riportati. Infine non bisogna avere la pretesa di fare una legge “definitiva” per un sistema ancora in divenire, basta una normativa per eliminare le distorsioni antidemocratiche del “porcellum”.
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