Anche il sindaco Fontana lo riconosce: se ci fosse più sorveglianza, saremmo maggiormente sicuri. Cioè: Varese non lo è abbastanza, pur se in misura superiore ad altre città. Chiedere aiuto ai volontari? Perché no, pur se con le modalità adeguate. Non si tratta di rispolverare l’idea delle ronde, ma di sollecitare disponibilità, collaborazione, impegno da parte dei cittadini. Ci lamentiamo spesso che bisogna fare comunità, ebbene facciamola: diamo una mano, segnaliamo, avvertiamo. Del resto, tale era lo spirito con cui nel passato venne accolta non la proposta d’una forza di polizia parallela a quella ufficiale, ma d’una mobilitazione popolare a tutela del bene pubblico.
Fa bene il questore Messina a ricordare che ci sono compiti ai quali debbono attendere le forze dell’ordine, punto e basta. E che se qualcosa va fatto – lui non lo dice, ma sembra lecito aggiungerlo – è fornire più uomini e mezzi per migliorare il servizio offerto. Però un proposito non confligge con l’altro: tutti insieme, a difendere la legge. Nel rispetto dello Stato, della sua costituzione, dei suoi bracci operativi eccetera. E su questo sindaco e questore concordano, garantendo sulla saldezza delle intese istituzionali.
Naturalmente una città si tutela meglio quando, nei suoi quartieri, non degrada verso il peggio. Siamo sempre al punto di base (di partenza, perché l’arrivo non s’intravede mai): il bello scoraggia il brutto. Il decoro le indecorosità. L’ordine il disordine. E così via. Argomento che di sicuro appare noioso, però altrettanto di sicuro non sembra inconsistente. Se per esempio la zona delle stazioni (e l’ampio intorno che vi fa corona) non fosse nella condizione miserevole in cui versa, chi la frequenta allo scopo di trovarvi lo spunto per delinquere, ne verrebbe scoraggiato. Ha ragione il leader del PD Mirabelli quando rammenta che stiamo aspettando da un’eternità interventi di ripulitura del sito, e poi azioni di controllo sui flussi pedonali, nei sottopassaggi che collegano le vie Morosini e Milano. Se vi si avesse dato esecuzione, parleremmo forse (certamente?) d’un po’ meno d’insicurezza in quell’area urbana così cruciale.
Anche altrove i disagi e le paure non mancano. Certo, non bisogna esagerare nell’allarmismo, interpretando alcuni episodi come la regola anziché l’eccezione. Però se i commercianti di piazza Repubblica seguitano a lamentarsi per il circolare d’una inquietante tipologia di passeggiatori (di nullafacenti), se si ripetono vicende ascrivibili al microcrimine, e se infine un tale succedersi d’evenienze allerta i timori di chi risiede e di chi transita, una qualche ragione di fondo esisterà. E chiede d’essere approfondita, invece che rimossa. Capìta, analizzata, affrontata, visto che anche l’annunzio di sofisticati sistemi di prevenzione (telecamere e altro) non disincentiva gli habitué della malvivenza.
Viviamo purtroppo un’epoca di fragilità, che dall’economia scendono a cascata sul vivere quotidiano, in ogni settore e in ogni dove. Da lì viene l’accentuazione d’angosce che porta a invocare una protezione forte contro debolezze che un tempo avremmo liquidato come sopportabilmente inevitabili, e che oggi reclamiamo d’evitare perché inevitabilmente insopportabili. Aggiungono infatti inquietudine al pessimismo, trasformando la città nel contrario del luogo amico di cui avremmo bisogno. Ecco la ragione d’appelli che meritano ascolto.
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