La Varese che cambia non ci può sorprendere. Nella galleria Manzoni, al posto dello Spizzico, s’insedierà un emporio cinese, ed era inimmaginabile che quei locali vuoti sarebbero stati diversamente riempiti. Lì come altrove. Dall’Oriente arrivano energie, entusiasmi, finanziamenti. Idem da numerosi Paesi dell’Est. E la manodopera viene anche dall’Africa, se uno sventurato naufragio non impedisce agl’imbarcati d’inseguire sogni occidentali.
Nel resto del mondo han capito che cos’è la globalizzazione: guardare oltre lo steccato, vedere lontano, rischiare. Pensano come pensavano i nostri nonni e bisnonni, si sottopongono a sacrifici enormi, prendono pochi bagagli con dentro molta speranza ed emigrano. Ci portano un tesoro, che noi abbiamo sotterrato: la fiducia nel futuro. È sbagliato dolersi di questi arrivi, di queste intraprese, di queste novità: bisognerebbe valutarne il profilo apprezzabile, individuare la migliorìa che inducono, collaborare insieme per il nostro domani. Il nostro domani è il loro, se vogliamo scrutare l’orizzonte con occhio realistico.
Non è più l’epoca di chiusure, egoismi, separazioni. Di arroccamenti economici, sociali, perfino religiosi. Della difesa d’un recinto che il progresso ha già divelto, senza che quasi ce ne accorgessimo. Una quota d’industriali, essa sì, ha percepito con prontezza il cambiamento, avviato rapporti d’affari, compreso che l’Est e il Sud del pianeta sono una risorsa: possono favorire la ripresa dopo la crisi, fornire idee e mezzi, spingerci a una brillante emulazione. Il commercio non sempre segue analoga traccia, privilegia la tutela della tradizione, diffida della concorrenzialità, se potesse alzerebbe barriere per impedirla. Ma il mercato rifiuta una simile logica: ha regole antiche, sedimentate, incoercibili. Chi produce a costo sostenibile e vende a prezzi modici, la vince. Per non perdere del tutto, e anzi ribaltare la partita, la via è una sola: farsi venire migliori intuizioni, inventarsi il tocco di fantasia, convincersi che il pregio d’una merce non per forza significa un alto tributo di realizzazione.
Insomma: non è il caso d’avere paura. È invece il momento d’acciuffare le opportunità, mettersi in gioco, ripescare l’audacia delle generazioni passate. Dovrebbero atteggiarsi così soprattutto i giovani (non solo alcune meritevoli avanguardie), pigliarsi la responsabilità di osare, smetterla d’indulgere alla rassegnazione. All’inizio del Novecento, quando Varese si diede la mossa che l’avrebbe radicalmente trasformata da borgo insignificante a luogo privilegiato di manifatture e turismo, circolavano arie depressive somiglianti alle attuali. Gli spiriti moderni del periodo si ribellarono: basta lacrimarsi addosso, avanti con ogni genere e tipo d’iniziativa. Ebbero successo perché lo cercarono, sicuri che l’avrebbero incontrato.
Quel gusto dell’avventura, spartita tra i locali e i forestieri, è da recuperare. Chi attese alla costruzione di reti tramviarie, funicolari, grandi alberghi, opifici e perfino di un’autostrada (la Milano-Laghi, prima d’Italia) cadde in sospetto di sciagurato ambizionismo; aveva invece ragione, e faremmo torto alla storia se ne ignorassimo l’insegnamento, seguitando a denunziare il presunto peggio dell’attualità anziché offrire il possibile meglio dei contemporanei.
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