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Spettacoli

BRUNO E GIANNA

MANIGLIO BOTTI - 15/11/2013

Bruno Lauzi con Mauro Della Porta Raffo

Chi non ha un ricordo vago della Varese felix degli anni Sessanta può fare mente locale su alcuni personaggi che l’hanno – letteralmente – attraversata: giocatori di calcio e di basket, scrittori, artisti, attori, cantanti. Tra questi ultimi c’è Bruno Lauzi, considerato uno dei fondatori della scuola genovese dei cantautori (era compagno di banco al ginnasio di Luigi Tenco). Ma Lauzi, che nel ’63 pubblicò la canzone “Il Poeta”, una specie di manifesto di quella generazione, benché nato all’Asmara e cresciuto a Genova, dalla fine degli anni Cinquanta era venuto ad abitare con la famiglia a Varese; suo padre dirigeva la famosa cava della Rasa. Bruno aveva appena conseguito la maturità classica e stava in uno storico condominio di via Piave. Anche se iscritto all’università, dedicava gran parte del suo tempo alla musica e il resto alla politica, frequentando da assiduo la sede del Partito Liberale varesino di via Bernascone, partito di cui era dirigente giovanile.

Qui, nella sede del PLI, aveva trovato un grande caposcuola nella figura dello scrittore emergente – in quegli anni – Piero Chiara, anch’egli in qualche modo esponente di spicco dei liberali. Più che nell’impegno politico, tuttavia, sia Chiara sia Lauzi, ai quali poco tempo dopo si aggiunse un giovanissimo Mauro della Porta Raffo, si erano specializzati nei dibattiti su donne e letteratura e nel gioco delle carte, specie la scopetta-uno-contro-uno. Molti aneddoti sono stati raccontati dallo stesso Bruno Lauzi nelle sue non infrequenti rentrée varesine, dopo che per ragioni di lavoro, all’inizio degli anni Settanta era andato a vivere a Milano.

Passava il Lauzi la giornata in via Bernascone e spesso, verso le sei di sera, lo si vedeva dirigersi verso il caffè Zamberletti. Faceva una rapida vasca sul corso per poi andare a fiondarsi nel bar. Ecco alcuni versi della sua canzone “Il Poeta”, non casuali a quanto pare: “Alla sera al caffè con gli amici / si parlava di donne e motori / si diceva ‘son gioie e dolori’ / lui piangeva e parlava di te… / Alle carte era un vero campione / lo chiamavano ‘il ras del quartiere’ / ma una sera giocando a scopone / perse un punto parlando di te…”.

Sull’amicizia con Piero Chiara, dopo la sua morte, molti hanno costruito carriere a Varese. Lo scrittore era molto disponibile e bene educato, se richiesto di consigli e di aiuto, ma anche attento e riservato, e perciò un po’ refrattario alla confidenza. Bruno Lauzi, che pure era di ventiquattro anni più giovane, era una sorta di pupillo, di consulente fidato. La loro “collaborazione” era una realtà. Bruno, in occasione di una sua venuta in città per presentare il libro – pubblicato da Bombiani otto anni fa – “Il caso del pompelmo levigato”, raccontò di come Piero gli lasciasse leggere con largo anticipo i manoscritti dei suoi primi romanzi e dei racconti, alla metà degli anni Sessanta, per averne un parere.

Forse a unirli e a cementare l’amicizia era anche un certo spirito di trasgressione e di irregolarità che Lauzi, da buon liberale (e proprio per questo si dice che non trovasse spazio tra le righe della musica e dei nostrani), esplorava, come Chiara del resto. Nella stessa occasione di quell’incontro varesino, Bruno, da cantautore esperto, volle dare un giudizio su un’artista che seguiva con attenzione – Gianna Nannini – nella quale, più che la rocker “inosservante delle norme” vedeva invece un personaggio bene inquadrato nella tradizione: “Pensate ad alcune sue canzoni – Fotoromanza e i Maschi, per esempio – sono dei valzer, dei valzerini…”, e con la mano mimò nell’aria l’andamento musicale dei brani, canticchiandoli.

E così torniamo a Piero Chiara e il cerchio si chiude. Gianna Nannini, in qualità di autorevole rappresentante di anello di congiunzione tra musica e letteratura, riceve quest’anno il premio “Le parole della musica” nell’ambito delle manifestazioni dedicate allo scrittore luinese-varesino, di cui per altro si celebra quest’anno il centenario della nascita.

Gianna, dopo Luciano Ligabue, Francesco Guccini e Paolo Conte è la quarta a vedersi aggiudicato il riconoscimento. Dei tre che l’hanno preceduta si può dire che sia la più squisitamente “musicista”, ovvero colei che meno cede alle lusinghe di altre discipline artistiche (il disegno e la poesia per Conte, la letteratura per Guccini, il cinema per Ligabue). C’è invece per lei un legame con Varese che parte da lontano, un legame che ha forza anche nella scelta, magari scaramantica, della nostra città e del suo non acusticamente perfetto palazzetto dello sport quale prima sede di partenza di tournée concertistiche importanti.

Ed è magari per questo legame con la cosiddetta “città giardino” simpaticamente intuito dal cantautore genovese-varesino che nasceva la simpatia. Con e senza i “valzerini”, che anche il “nostro” Bruno Lauzi amava.

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