Silvio Berlusconi, pregiudicato, imputato, indagato, nel cadeau annuale del fido Bruno Vespa dal grazioso titolo “Sale, zucchero e caffè” afferma tra l’altro: “I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso”.
Lo Stato di diritto, nato dalla Resistenza, equiparato disinvoltamente al nazismo. Una frase sciagurata che non bisogno di molti commenti. Vengono in soccorso la ex moglie – “È un uomo malato, aiutatelo…” – e una drammatica lettera inviata da Federica Belli Paci al “Corriere della Sera” che l’ha pubblicata in prima pagina il 7 novembre. Uno scritto che serve come commento generale alla triste vicenda. Trasuda sdegno e profondo dolore e mette i brividi.
Chi scrive è una dei figli di Liliana Segre che l’8 dicembre 1943 con il padre Alberto, di quarantaquattro anni, fu arrestata a Selvetta di Viggiù dalla Milizia Confinaria fascista dopo che, entrata in Svizzera, era stata “respinta” ad Arzo dai militari doganali del Canton Ticino e gettata nella “terra di nessuno”, una striscia di terra tra l’Italia e la Confederazione.
Alberto Segre venne assassinato il 27 aprile 1944 ad Auschwitz. Liliana Segre, una ragazzina di soli tredici anni, si salvò. Fu liberata a Ravensbrueck il 30 aprile 1945. Per anni tacque del suo dramma come quasi tutti gli altri ebrei. Invincibile era stato il timore di non essere creduta.
Teniamoci forte dunque e leggiamo con la mente e con il cuore lo sfogo tremendo. “Caro Direttore, leggo le affermazioni di Silvio Berlusconi e rabbrividisco: “I miei figli come gli ebrei sotto Hitler”. Sono la figlia di Liliana Segre e mi rivolgo al’Associazione Figli della Shoah per sapere come intende agire, congiuntamente con tutte le Comunità Ebraiche Italiane, al Memorial della Shoah e alle altre Associazioni, per rispondere a queste farneticanti e inaccettabili dichiarazioni. Ricordo che il giorno dell’inaugurazione del Memoriale alla Stazione Centrale di Milano Silvio Berlusconi si è presentato, inatteso e non invitato, ha preso posto in primissima fila, offrendo l’osceno spettacolo della sua testa reclinata all’indietro e della sua bocca aperta, accasciato e addormentato proprio durante le parole di mia madre. Parole strazianti, sofferte, dolenti, accompagnate dal rumore del passaggio dei treni sopra di noi. Da quella stazione mia madre era partita bambina, su un carro merci, con suo padre e i suoi nonni (nota del curatore: i fratelli Volterra, uno suicida a San Vittore, l’altro morto di stenti nel campo di smistamento e di polizia di Fossoli, Carpi), verso ignota destinazione. Perché questo è il destino che Hitler riservava agli ebrei sotto di lui.
Mia madre è tornata, ha vissuto, ha avuto tre figli e tre nipoti. Oggi è una splendida donna di ottantatre anni, che ha trascorso la sua esistenza cercando di uscire da Auschwitz e nonostante sia meravigliosamente attaccata alla vita, chissà che ancora oggi ci sia davvero riuscita. Tutti noi figli, profondamente segnati dall’identificazione con lei, affrontiamo ogni giorno nel fondo della nostra anima un dolore che ci avvicina pudicamente al suo, abbiamo ferite incurabili, traumi che nessun psicanalista potrà mai guarire.
Siamo cresciuti con insegnamenti un po’ speciali, con passaporti sempre pronti, con cassetti traboccanti di foto di scheletri, con la paura delle ciminiere e l’impossibilità di tenere lo sguardo su un treno merci, non ci permettiamo di rifiutare il cibo neanche se scaduto e maleodorante, non riusciamo a pronunciare la parola forno nemmeno per calcolare il tempo di cottura di una torta di mele mentre una doccia ha un che di sinistro e il suono della lingua tedesca ci fa trasalire, se poi è urlata ci spezza il respiro in gola, proviamo un brivido ad ogni sforbiciata del parrucchiere che fa cadere a terra una ciocca dei nostri capelli, ci spaventa un latrato di un cane, le cancellate, il filo spinato e guardiamo ogni giorno il braccio che ci ha stretto quando venivamo al mondo, sporcato e offeso da un orrendo tatuaggio.
Sono tanto fiera di essere figlia di questa madre, quanto disgustata da Silvio Berlusconi e dalle sue parole. Resto a disposizione di Marina, Piersilvio, Barbara. Eleonora e Luigi Berlusconi per un confronto sulle nostre reciproche vite.
Federica Belli Paci, figlia di Liliana Segre, tra le poche sopravvissute degli oltre 600 ebrei deportati ad Auschwitz dal Binario 21 della Stazione di Milano il 30 gennaio 1944”.
Che si sappia nessuno dei figli si è fatto vivo magari per dire al papà: “Guarda che ti sei sbagliato. Noi giriamo in Mercedes, facciamo shopping in via Napo, abbiamo un bel conto in banca. Poi se ci minaccia qualcuno abbiamo la scorta”.
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