Alcune recenti inchieste hanno registrato negli ultimi mesi un incremento del numero di partecipanti alla messa festiva ed una ripresa della pratica religiosa, specialmente per quanto riguarda la frequenza al sacramento della confessione, che sono stati collegati all’impatto con la figura di Papa Francesco. Certamente lo stile del Papa, così insistentemente trasparente della misericordia di Dio che non si dimentica di nessuno, ha invitato ad accostarsi alla Confessione, con quella fiducia e con quella serenità di chi non si sente condannato ma piuttosto chiamato a gustare l’incontro pacificante con il volto umano di un sacerdote, che lo accoglie a braccia aperte per mostrargli la benevolenza di un Dio padre, che non “scarta” nessuno e tiene con sé chi è sinceramente pentito.
Il dato è certamente significativo, anche se ne va verificata l’attinenza con lo stile di questo pontificato, perché indica comunque il risveglio di una domanda di significato e la ricerca di relazioni più vere ed essenziali che facciano gustare la bellezza pacificante del Cristianesimo, superando ogni ritualismo o formalismo che la fede assume quando mette tra parentesi la Verità dell’umano. Certo non si può dedurre da questo cambiamento un indice di gradimento della figura del Papa, ma risulta chiaro che non siamo in presenza di un fenomeno solo mediatico, ma della testimonianza di quella misericordia che conduce Dio a ricordarsi proprio di tutti, senza lasciare indietro nessuno e senza dimenticare che nemmeno il peccato più grande può allontanare l’uomo dal suo amore. La Chiesa, infatti, non è un tribunale ma è una dimora che permette a ciascuno di “essere chiamato per nome”, e ciò non contraddice affatto il compito di predicare la Verità senza sconti; piuttosto invita a cercare nuovi modi per dialogare con tutti senza dover rinunciare alla dottrina per risultare più accettabile o gradevole all’uomo contemporaneo. Il Papa non è il padrone della tradizione cattolica, né può fare ciò che vuole del deposito della fede e della morale, deve però cercare con misericordia di accompagnare l’uomo nel cammino della vita.
Interessante è comunque questo ritorno alla Confessione, che non può rispecchiare solo il tentativo di liberarsi dai sensi di colpa che l’uomo di oggi avverte dentro di sé, ma può essere un segno per riconoscere il limite dell’uomo e riaprire un dialogo con Dio invocando la salvezza. Sotto questo profilo il Papa è altamente credibile per la naturalezza del suo atteggiamento che testimonia la speranza che Gesù offre, guardando ciascuno come fece con Zaccheo, cioè offrendo la benevolenza del perdono come contenuto stesso della relazione. È questa la vera ragione della “simpatia” di Papa Francesco che lo porta ad interessarsi (anche in maniera affettiva concreta) di tutti e di ognuno, con la passione di valorizzare sempre il “positivo”.
Ciò non toglie che il suo insegnamento sia pienamente in linea con quello dei suoi predecessori, fedele al significato del Concilio Vaticano II, e senza le deviazioni della Teologia della liberazione degli anni ‘60/’70 (troppo imprigionata nelle maglie delle categorie marxiste di quegli anni). La Chiesa sta piuttosto approfondendo la coscienza della sua identità, già avviata da Paolo VI ed ancor prima nel discorso introduttivo alla prima sessione del concilio pronunciato da Giovanni XXIII, in cui si condannavano i profeti di sventura e si esaltava la capacità della Chiesa di porsi in continuo stato di auto-aggiornamento, così da affrontare le sfide del nuovo millennio.
Al di là del successo mediatico (sempre pericoloso quando tutti inneggiano alla novità senza considerare il valore della Tradizione!), nello stile di Papa Francesco è presente totalmente lo scandalo evangelico, non solo per il francescano richiamo alla povertà o per i segni di particolare benevolenza e carità con cui il Papa si rapporta a tutti; ma piuttosto per la consapevolezza, molto vicina alla sensibilità di Ratzinger, che colloca Cristo risorto al centro di tutto. Sta qui il segreto per cui non c’è spazio per la disperazione, e per cui si può guardare il presente con il sorriso di chi si affida solo al Dio che crea e salva.
Ogni pontefice ha il suo particolare carisma e lo Spirito Santo ci regala come pastore supremo la persona giusta al momento giusto, in quella prospettiva di continuità discontinua con cui Ratzinger interpretava il Concilio per la vita della Chiesa del XX secolo. I prossimi passi e le prossime decisioni chiariranno ulteriormente lo svolgersi del progetto di questo pontificato, destinato a rimanere nella storia per la sua carica di straordinaria vicinanza della Chiesa all’uomo sofferente.
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