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Società

I GIOVANI E LA CHIESA

LIVIO GHIRINGHELLI - 08/11/2013

Da una recente statistica risulta che solo il 13% dei giovani tra i 18 e i 29 anni va regolarmente a messa tutte le domeniche e l’85% non ha alcun contatto con il mondo ecclesiale. Poco più del 30% crede in Dio. Non si registrano, e il fatto sorprende rispetto alla tradizione, sostanziali differenze tra maschi e femmine.

Per contro molti hanno una concezione prometeica delle facoltà e possibilità umane e come obiettivo primario quello dell’autorealizzazione a prescindere dalla fede. Di qui l’imperativo di ritrovare una giusta grammatica dell’umano e attraverso una relazione di fiducia a ristabilire la dimensione del contatto con gli altri e con Dio, perché al fondo dominano un individualismo disgregatore di valori, il relativismo etico, il pensiero rivolto solo al presente, non progettuale, un secolarismo materialistico, la cultura della rassegnazione di fronte all’elevata probabilità di scacco esistenziale nella chiusura degli orizzonti.

Sono al contempo da superare una fede pigra e da salotto, un cristianesimo part-time, come una fede privata ed autoassolutoria. Certo non aiuta i giovani l’autorità, quando esercitata d’ufficio e con distacco, perché, è un problema di sempre, risolutiva è l’autorevolezza, la presenza costante di un esempio offerto con coerenza. La tradizione si mortifica e si isterilisce, se non viene rivissuta alla luce di nuove domande. Più che fare catechismo (ed è pur necessario) conta offrire occasioni autentiche di esperienza coraggiosa. Anche dal punto di vista sociale le opportunità del neoconvivialismo si offrono come modelli alternativi alla logica del liberismo. I giovani hanno bisogno di comunità. Purtroppo oggi la realtà giovanile sembra stare alla periferia dei grandi eventi.

Soprattutto vanno trascesi i limiti di una Chiesa in assoluto autoreferenziale, l’integralismo che esclude, perché l’istituzione, attenta ai segni dei tempi, nella visione conciliare dialoga con le sofferenze, le attese, è sinceramente partecipe delle pene di tutti e desiderosa di consolare. L’incontro con Gesù è un evento della coscienza (il nucleo più segreto, il sacrario dell’uomo): in questa la persona scopre la legge dell’amore. Non si tratta di annunciare dall’esterno una verità assoluta, che incombe e schiaccia l’individuo, ma di far risuonare la voce di Dio nell’intimità. La verità, che è tutt’uno coll’amore ed è logos, nel suo insopprimibile dinamismo va sempre oltre le certezze del momento, approfondisce, ed è relazionale; l’identità cristiana è comunicativa. La lingua dello Spirito è quella della comunione. La fede poi è una Parola che ci invita a cercare sempre.

Così anche si afferma una ecclesiologia della collegialità e della sinodalità. Si contengono gli ammonimenti per aumentare i gesti di dialogo e di amore. Alla luce delle provocazioni e delle istanze contemporanee si comprende meglio il Vangelo.

Sarà facile allora che nell’apertura sincera all’incontro con una laicità costruttiva, che non assolutizza e idolatra il proprio punto di vista, si possano fare tratti di strada assieme, articolando e incarnando nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Dialogare significa anche scoprire nello sguardo degli altri chi si è.

Siamo ben lungi da uno spiritualismo disincarnato. E sul piano sociale si potrà tornare a riflettere sul senso della mediazione e delle leggi imperfette senza tradire la fede. Estremamente importante è poi la logica dell’accoglienza: la storia della salvezza abbonda di episodi in cui Dio si traveste da straniero, da pellegrino; Gesù ospita e si fa ospitare. L’ospitalità lascia un segno, un legame, che non è pura forma. Chi professa confessioni non cattoliche non deve pagare il prezzo di errori commessi da uomini di entrambe le parti. Anche le altre religioni riflettono un raggio di quella verità, che illumina tutti gli uomini.

Vale infine un monito (Lumen Gentium 8): “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza”. Quanto ai rapporti tra Chiesa e Stato vale il principio della Gaudium et Spes (76): “La Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinuncerà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza”. Questa è la Chiesa di papa Francesco: della speranza, della povertà, dell’abbraccio, pur nella fermezza. È una Chiesa ringiovanita.

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