Gli Amerikani spiavano anche il Papa?
Non ho mai pensato che non lo facessero. E con loro, accanto a loro, contro di loro, Russi, Francesi, Inglesi, Israeliani, Italiani (ma sì), giù giù tutte le nazioni dell’ONU fino ai Figiani, per non dire dei privati, a scopo di furto scientifico, industriale, finanziario ecc. Non è forse da pochi anni che abbiamo individuato il reato di insider trading, (non avevamo nemmeno il termine italiano), l’uso di informazioni riservate per speculazioni borsistiche?
Si dice: tutti sanno tutto di tutti, quindi statevene tranquilli. Pare che gli Americani dicano anche: “Certo vi spiavamo, ma nel vostro interesse, per proteggervi dal terrorismo”. Si giustificano di un comportamento, come se fossero una madre ansiosa che rovista nella borsetta della figlia adolescente o ne sbircia il diario
A fin di bene si giustifica tutto, ma non è strano che contemporaneamente si affermi il dovere di tutelare la privacy (anche in questo caso il termine italiano non è in uso) e si rendano disponibili allo Stato una quantità di dati, non solo economici, riguardanti la vita privata dei cittadini, al punto che, se voglio dare una mano alla famiglia di un parente, ai giovani appena sposati o a un anziano della casa di riposo, devo assicurare la tracciabilità?
Mi preoccupano le conseguenze sociali e politiche immediate della disponibilità da parte di alcuni di tale quantità di dati e della loro qualità. E non penso principalmente alle intercettazioni a scopo politico.
Temo il Grande Fratello, ma anche la Grande Mamma e il Grande Nonno.
Non mi sogno nemmeno di sperare che si possa arrivare alla trasparenza più ingenua, al fair play più leale, nella politica come nel calcio, nella concorrenza commerciale come nelle relazioni umane. Esisteranno sempre i furbi e, purtroppo, i troppo furbi, quelli capaci di fare un danno sociale maggiore del beneficio che ne ricavano personalmente.
La mia preoccupazione principale è un’altra: la distorsione della comprensione della realtà quando la si guarda dal buco della serratura.
È una questione di giustizia, quando qualcuno viene a conoscenza di una notizia che non avrebbe il diritto di sapere, ma è soprattutto una questione di conoscenza distorta della realtà, quando un particolare, strappato dal contesto, diventa il valore assoluto, l’unità di misura cui si sottopone ogni cosa e che determina il giudizio sulle persone e sulle scelte importanti per la vita sociale.
Questi “alcuni pochi”, che godono di questo privilegio di avere a disposizione un supplemento di dati, come possiamo essere certi che ne faranno buon uso? E prima ancora, capiranno davvero il senso di ciò che vengono a sapere? Mi pongo il problema morale e politico della loro correttezza, ma insieme, ancora una volta, quello della conoscenza: non finiranno per dare più peso, nella formazione del giudizio sulla realtà, a quello stupido particolare che conoscono solo loro, piuttosto che al contesto, molto più ricco e sfumato, che è a conoscenza di tutti? A che sarà servito agli Americani ascoltare le chiacchiere dei Cardinali prima del conclave, o anche nel suo svolgimento? Si può capire meglio il Cristianesimo o prevedere ed eventualmente contrastare l’azione di un Papa dalla contezza di segretucci di poco conto?
È un po’ come discutere se sia meglio essere miopi o presbiti, perdersi nei vasti spazi o inciampare nella piccola asperità del terreno, ma quale correzione di lenti è disponibile per il senso della vita o per i grandi problemi della convivenza civile?
La coscienza è qualcosa di più della scienza, del puro essere a conoscenza di fatti, di dati, di cose. Si forma solo in una relazione, scire cum, che consente di aver l’occhio allenato a comporre il tutto per mezzo dei frammenti e a vedere nel frammento il riflesso del tutto. Questo è ciò che non ci può permettere di affidare il nostro destino ad “alcuni”, quale che sia l’origine del loro potere, politico, giornalistico, scientifico, persino ecclesiale ( la mia critica al clericalismo nasce da e non contro il mio amore per la Chiesa).
Comunicare per comprendere, guardare sia il piccolo particolare, sia l’orizzonte, per vedere veramente, ascoltare, guardando negli occhi l’interlocutore. Sbirciando e origliando, (ricordate il film “Le vite degli altri”) si finisce per essere sviati. Capita spesso, non è vero, agli Amerikani e agli Antiamerikani?
You must be logged in to post a comment Login