Un’altra, l’ennesima, telenovela di casa nostra sta andando in scena da alcuni anni sui fondali collinosi dell’Insubria. Sembrava dall’inizio uno spettacolo dagli esiti scontati e dal finale trionfale in zona Expo 2015 con Malpensa collegata alla linea internazionale del Gottardo via Varese, Arcisate, Stabio, Mendrisio, un braccio ferrato che dovrebbe rompere il secolare isolamento ferroviario del Varesotto nord occidentale; collegare il capoluogo con Lugano e Como; alleggerire la pressione automobilistica del traffico dei lavoratori pendolari su una rete viaria assai prossima al collasso.
In effetti la partenza fu da formula 1 forte di un consenso quasi unanime delle comunità locali, mezzi tecnici dispiegati per ogni dove, il che spinse l’ex assessore regionale ai lavori pubblici Raffaele Cattaneo, uno dei “padrini” operativi dell’infrastruttura, a qualche eccesso di ottimismo, un’imprudenza in un paese come l’Italia dove quasi mai preventivi e calcoli di partenza vengono rispettati nei grandi come nei piccoli progetti. Qualcosa viene sempre trascurato, sottostimato – in genere i finanziamenti – lasciato al caso, forse per trascuratezza più spesso per calcolo.
È puntualmente accaduto anche per la Malpensa – Mendrisio (evitiamo di chiamarla riduttivamente Arcisate – Stabio!) arenatasi sulla spinosa questione delle terre di scavo all’arsenico, materiali che la Salini, appaltatrice dei lavori sia sul versante varesino sia su quello ticinese, prevedeva di poter utilizzare nel proseguo dell’opera. Alt e fermi tutti a questo punto perché l’arsenico incorporato alle terre di risulta è un fulmine a ciel sereno, un imprevisto che mette a soqquadro budget e preventivi di spesa e soprattutto rende inutilizzabile il materiale che anziché essere riutilizzato dai Salini deve essere stoccato in un sito sicuro.
Come da copione comincia un braccio di ferro tra l’impresa e l’appaltante RFI ( Rete ferrovie italiane) con cantieri prima a singhiozzo poi desolatamente chiusi fino alla mediazione, nelle scorse settimane, di Bobo Maroni che ha riportato i contendenti sul terreno di gioco convincendoli a ricucire sin da subito, dove possibile, i territori squarciati dagli scavi. Insomma il minimo sindacale perché resta ancora sulla linea in costruzione la pesantissima ipoteca della movimentazione delle terre di scavo, il punto nodale dell’intera questione di cui si occuperà il CIPE ( Comitato interministeriale per la politica economica) non prima di febbraio, come dire campa cavallo che l’erba cresce… In questo ennesimo “affaire” all’italiana resta da chiarire come mai le terre all’arsenico non siano state rilevate nel corso dei sondaggi geognostici preliminari. Sono stati fatti e se sì come? Questo è il vero interrogativo da sciogliere come ha autorevolmente dichiarato alla Prealpina il 1° novembre l’arcisatese ingegner Rino Comolli, una vita di lavoro nelle grandi opere costruite nel mondo dall’Italstat, dunque uno che sa di cosa sta parlando.
Alle comunità locali innanzitutto e a tutti i cittadini contribuenti è dovuto un chiarimento definitivo, bisognerà infatti che qualcuno metta nero su bianco se i ritardi – ad andar bene si finirà nel 2016 – e gli inevitabili costi aggiuntivi siano dovuti a imprevedibili incognite o a precostituite negligenze. Sappiamo che l’Italia intera è disseminata di ospedali, scuole, carceri, strade, stabilimenti pubblici e privati iniziati e mai finiti, una scia interminabile di denaro pubblico sprecato negli ultimi quarant’anni senza soluzione di continuità. Sarebbe davvero clamoroso se allo sterminato rosario delle italiche incompiute si aggiungesse anche la Malpensa – Mendrisio, nel cuore produttivo del “profondo Nord”.
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