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Società

L’IRRISOLTA QUESTIONE MORALE

CAMILLO MASSIMO FIORI - 01/12/2011

 

il Cardinal Dionigi Tettamanzi

È opinione diffusa, anche all’estero, che il governo del varesino Mario Monti costituisca l’inizio di una nuova fase della politica italiana. Pur nell’impossibilità di conoscerne gli sviluppi emerge tuttavia la consapevolezza che negli ultimi due decenni l’Italia è regredita non solo economicamente ma anche moralmente: è aumentato il degrado civile ed è cresciuta la corruzione pubblica, non più contrastata dalla riprovazione dei cittadini ma quanto meno tollerata.

Lasciando Milano il cardinale Dionigi Tettamanzi ha detto: “Gli anni della cosiddetta Tangentopoli pare che non abbiano insegnato nulla, visto che purtroppo la questione morale è sempre di attualità”.

Diversamente dal 1992 la rivelazione della diffusa illegalità (nella graduatoria internazionale della corruzione stiamo peggio della Grecia) non ha provocato, come allora, una ampia reazione sociale.

La corruzione non è più appannaggio di gruppi politici che la giustificavano con la necessità dei partiti di avere i mezzi necessari per poter svolgere la loro azione pubblica. C’è stata una indubbia caduta dell’etica pubblica e ciò ha costituito un incentivo alla diffusione della illegalità e della sua legittimazione sociale.

Ogni giorni constatiamo la distanza tra azione pubblica ed etica, l’abbandono dei principi di riferimento; la politica ha smarrito non solo le idee ma anche i principi morali.

Senza idee la politica diventa mera gestione del potere; senza principi morale si indebolisce lo spirito civico, il senso del bene collettivo, il concetto di uno Stato giusto a servizio dei cittadini.

La “questione morale” diventa una irrisolta “questione politica”; la politica senza capacità di ”governance” viene contestata da un crescente senso di populismo; la classe dirigente e le stesse istituzioni pubbliche non sono rispettate perché agli occhi dei cittadini non appaiono rispettabili.

A questo sentimento di sfiducia hanno certamente contribuito la rivelazione delle intercettazioni telefoniche disposte dall’Autorità Giudiziaria, a cui è stato riservato il ruolo esclusivo ma sproporzionato di perseguire i colpevoli. Tali rivelazioni hanno fatto cadere la distinzione, ipocrita, tra “vizi privati” e “pubbliche virtù” ma questa conoscenza brutale della realtà non ha cancellato totalmente il consenso politico, trasformandolo però in una acquiescenza.

Di fronte all’evidenza della realtà della corruzione non è possibile la pratica della “doppia morale” che è un fragile paravento della rispettabilità. In una “società aperta” l’uomo pubblico non può pretendere di erigere un muro di riservatezza intorno alla sua vita privata. Fin dal 1973 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che gli uomini pubblici hanno una “minore aspettativa di privacy” e devono accettare la pubblicità dei loro comportamenti privati in quanto servono a valutare la coerenza tra i valori proclamati in pubblico e le loro azioni.

Se non c’è trasparenza sociale, concetti come quelli di lecito e illecito, di pubblico e privato, di Stato e di impresa, di bene collettivo e bene individuale perdono senso. “La luce del sole – ha detto il giudice americano Louis Brandeis – è il miglior disinfettante”.

Eppure una parte non trascurabile degli elettori privilegia la scelta dei peggiori: per immaturità, per ignoranza, per indifferenza e pure per complicità. Primarie ed elezioni non bastano a garantire la selezione dei migliori.

In un Paese democratico come il nostro è potuto accadere che nullafacenti, pregiudicati, affaristi, belle donne disinvolte abbiano potuto accedere in misura così rilevante nelle istituzioni pubbliche; il linguaggio greve e il turpiloquio hanno spesso degradato il dibattito politico e hanno costituito un potente incentivo degli spiriti razzisti; in nome della politica si sono tollerati abusi di ogni tipo configurando un modello di “peggiocrazia”, il governo dei peggiori. Non vale il motto di quel senatore brasiliano che di sé diceva: “rubo ma faccio”.

La democrazia non consiste soltanto nel votare ma nel rispettare la Costituzione e le leggi, comprese quelle non scritte della responsabilità e dell’onore.

Insieme alla ricostruzione dei fondamentali dell’economia occorre raccogliere ciò che resta delle costruzioni culturali frantumate, ricostruire i nessi tra interessi e valori e tra comportamenti e regole.

È condivisibile l’appello di Mario Monti: “E’ il senso dello Stato la forza delle istituzioni che evitano la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell’appartenenza alla comunità di origine in localismo, del senso del partito in settarismo”.

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