“Le sue braccia sono rimaste in Cielo, ma nessuno ha fatto tragedie”.
Così Candido Cannavò. Così, quand’era ancora tra noi- per frugare tra i grovigli d’umanità che s’incrociano lungo le strade del mondo – il giornalista, autore di “E li chiamano disabili”, aveva presentato la meravigliosa storia di vita di Simona: Simona Atzori. Per chi non la conoscesse Simona è un’artista, è la ballerina e pittrice trentasettenne che danza e dipinge affidandosi ai soli suoi robusti, delicatissimi piedi. Che sono anche le sue mani, come lei tiene a spiegare alle tante persone che ogni anno, e ogni giorno, incontra nella sua vita. Con lo sfioramento dolce delle sue estremità Simona usa il pettine per lisciarsi i lunghissimi capelli che fanno velo alla sua aggraziata figura, tiene i pennelli per la ceramica e l’acquerello, accarezza chi ama, o – via le scarpe che indossa – regge il microfono durante le interviste. La sua piccola patria è Gerenzano, ma lei vola ovunque per il mondo, sostenuta, come ama dire, dalle sue due ali: la danza e la pittura.
Simona è una giovane donna felice. Lo è e lo dichiara apertamente. Lo spiega tra le pagine e nel titolo del suo libro – appena uscito da Mondadori – ai dubbiosi che si interrogano su tanta certezza, ribaltando la domanda con un’altra domanda: “Cosa ti manca per essere felice?”.
“Se avessi avuto paura – scrive – sarei andata all’indietro, anziché avanti. Se mi fossi preoccupata mi sarei bloccata, non mi sarei buttata, avrei immaginato freschi scenari e mi sarei ritirata. Invece ho immaginato. Adesso sono felice, smodatamente, spudoratamente felice. Ed è una gioia raccontarla questa mia felicità”.
Chi scorre nel sito di Simona la sua biografia, fitta di una serie di incontri ed eventi di primo piano, nazionali e internazionali, di cui è stata e continua ad essere protagonista, si stupirà certo per gli alti, soprattutto emozionanti traguardi raggiunti. E per i contatti con i più importanti personaggi: anche con Giovanni Paolo II.
Simona ha danzato in occasione del Giubileo del 2000, su coreografie di Paolo Londi, la sua “danza di luce”. Era stata invitata a Roma in qualità di ambasciatrice da Monsignor Renzo Giuliano e Fabio Gallo. Al pontefice Simona aveva già fatto dono nel 1992 di un ritratto da lei dipinto e al momento dell’incontro aveva avvertito un’emozione mai provata. Di nuovo, in quel 2000 di grazia, si sentì sfiorare dallo spirito.
“Durante la danza, una magia: vidi uno stormo di gabbiani bianchi sorvolare il palco. Fu un istante, una foto sfocata, mi sfiorò l’idea di essere riuscita a superare i limiti umani e aver contattato un’altra dimensione, intima, spirituale. Mi ero sentita vicino al cielo e alla meraviglia del mondo, grata per l’immenso privilegio di poter testimoniare la vita e la grazia danzando per il Signore. Raccolsi un applauso di quelli che si ricordano per sempre. Ero stata brava. Alla fine dello spettacolo scoprii che anche altre persone avevano visto quei gabbiani volare con me”.
Chi attraversa con Simona le quasi duecento pagine del libro vive l’emozionante storia di una vita diversa. E trova il sincero e puntuale resoconto di una serie di paure e delusioni, di incertezze e ostacoli. Ma ancor più di successi, di sogni, di traguardi desiderati e agganciati per tenacia e volontà, per fantasia e ingegno, per obbedienza e capacità di dribblare la piattezza o la miscredenza di chi tenta di imporre il limite. Perché non è facile per tutti vedere l’oltre che c’è sempre, appena un po’ più in là di dove si posa lo sguardo comune.
“Dobbiamo fermarci in tempo prima di diventare quello che gli altri si aspettano che siamo. È nostra responsabilità darci la forma che vogliamo, liberarci di un po’ di scuse e diventare chi vogliamo essere, manipolare la nostra esistenza perché ci assomigli. Non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo, se sei bianco, nero, giallo o verde (…) se sei immobilizzato a terra o guardi il mondo dalle profondità più inesplorate del cielo. La diversità è ovunque, è l’unica cosa che ci accomuna tutti”.
I risultati hanno confermato le doti e la volontà di Simona, assistita da una famiglia carica di affetto, soprattutto serena, che lei ci presenta nel libro, aprendo le porte della sua vita pubblica e privata come un modello da seguire, un esempio che può aiutare. Un padre fermo ed esemplare, una madre sorridente e dolce, ma insieme testarda e forte, e un poco ‘folle’. La sensibilità di uno zio gentile che le insegnava a conoscere la vita. La complicità di una sorella, Gioia di nome e di fatto, con la sua meravigliosa famiglia. L’attenzione e il sostegno insostituibile di un nonno straordinario. L’amore grande del compagno Andrea e dei suoi tre figli, avuti da una prima donna, e accolti da Simona come un dono del Cielo. Questi i capisaldi su cui Simona ha contato e fondato le sue speranze. Questa la torre d’affetto che l’ha a tratti sollevata, aiutandola ad alzarsi in volo per superare nel vento i mille e uno gradini della sua vita diversa.
Dall’asilo, primo gradino, conquistato nonostante la diffidenza iniziale della suora superiora: poi pentita, e riconoscente per la lezione inflittale dall’accoglienza spontanea dei bambini e delle mamme, ma soprattutto dalla spigliatezza della stessa Simona. All’ammissione alla scuola d’arte, fino alla laurea in Visual Arts, in Canada. All’insperata frequentazione della Scuola di danza classica. All’imposizione dell’orrido corsetto-corazza consigliato dai medici per salvarle la schiena. Al rifiuto dell’uso di arti artificiali. Sono solo alcune delle tappe raccontate da Simona senza nascondere la difficoltà, lo scoraggiamento, le lacrime.
La sua vita diventa poi quasi favola, quando l’anatroccolo si fa cigno, nell’incontro coi grandi del ballo: la danza con Roberto Bolle, al teatro antico di Taormina e alla Fenice di Venezia, la stima di Carla Fracci, il sostegno di Oriella Dorella, di Marco Pierin e di tante altre étoile. La perfetta intesa artistica coi due ballerini e amici Marco Messina e Salvatore Perdichizzi, con le colleghe Maria Cristina Paolini e Giusy Sprovieri, che l’accompagnano anche nel Simona and Friends, manifestazione in cui si esibisce dal 2009 con star della danza internazionali. Nel 2006 fu ancora la leggerezza della sua danza ad aprire le Paralimpiadi di Torino.
Tutto e tutti hanno aiutato Simona a tirar fuori grinta e talento. Quello in cui ha sempre creduto il suo amico Candido, il vecchio giornalista che, lei ne è certa, la osserva ancora oggi da lassù, con orgoglio.
“Sono convinta – conferma oggi – che ciascuno di noi abbia un talento. Non per forza artistico: il talento è una opportunità, è dare un senso alla propria vita. Si può dimostrare talento nel fare qualunque cosa: la mamma, la casalinga, la ballerina, il falegname… Non è detto che sia necessario raggiungere chissà quali vette di notorietà: il successo è una faccenda intima. Le risposte non son fuori da noi: sono dentro. È lì che prendono corpo i desideri, che si crea l’intenzione, che si rafforza la volontà. Senza questi passaggi non si va da nessuna parte. Bisogna guardarsi dentro, scoprirsi, cercare gli stimoli giusti… se diamo per scontato i nostri percorsi, i nostri traguardi, i nostri progetti, se ci sentiamo già arrivati tutto prende un colore neutro. Non è così. Siamo sempre all’inizio di qualcosa. Se ci consideriamo persone in cammino, se siamo pronti a raccogliere stimoli e a cambiare strada, quello che abbiamo riluce dei colori più vivi, e il futuro sarà un mistero da scoprire, un regalo da scartare, una sorpresa”.
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