Mentre dall’ente statistico dell’Unione Europea giunge la notizia che in questi ultimi mesi la percentuale del debito pubblico sul prodotto interno lordo del nostro Paese è ulteriormente aumentata, dal Fondo Monetario Internazionale si viene a sapere che il prodotto interno lordo in valore assoluto (non pro capite) della Russia sta superando quello dell’Italia. Nella graduatoria delle maggiori economie l’Italia scivolerà quindi dall’ottavo al nono posto, mentre il Brasile ormai è al settimo.
Non sono belle novità per un presidente del Consiglio che si presenta su ogni palcoscenico sia al di qua che al di là dell’Atlantico come la luce dopo le tenebre; e che fa piani addirittura per i prossimi tre anni quando, essendo a capo di un governo immobile per natura, dovrebbe piuttosto concentrarsi sull’unica cosa che ci si può attendere da lui, ovvero la nuova legge elettorale, per poi tirarsi da parte e lasciare campo allo scioglimento anticipato delle Camere e quindi a nuove elezioni.
Nella corsa per le prime posizioni il Canada e l’India ci seguono a breve distanza; continuando il nostro rallentamento, potremmo pertanto in un prossimo futuro uscire dal “club” delle dieci maggiori economie del globo. India e Brasile sono giganti demografici da cui è non solo naturale ma anche auspicabile che, in nome della giustizia, veniamo superati (tanto più che fino a circa il 1870 erano appunto le due prime economie del mondo). Diverso il caso del Canada, la cui popolazione è poco più della metà della nostra, il cui territorio è in larga parte incoltivabile e dove la particolare asperità del clima incide specificamente sul costo della vita. Qui il confronto è bruciante, e sarebbe istruttivo se la nostra classe politica cessasse di essere il segmento più autoreferenziale della nostra classe dirigente, e cominciasse a considerare seriamente l’esempio appunto di Paesi come il Canada, ma anche come la vicina Svizzera.
Dovrebbe ormai essere evidente che, ispirandosi con tutti gli adattamenti del caso a esempi del genere, si deve procedere in Italia a una rapida e ingente spinta verso una estesa liberalizzazione dell’economia, a una radicale riforma dell’amministrazione statale, e alla liberalizzazione della scuola e della ricerca. Soltanto così il nostro Paese potrà uscire dal vicolo cieco in cui è stata cacciata. In una tale impresa, che implica il superamento di rendite corporative non solo di élite ma anche di massa (più odiose le prime, ma in fondo ben più onerose e ben più difficili da sradicare le seconde), può impegnarsi con buone probabilità di successo soltanto una forza politica la quale, avendo presentato al riguardo agli elettori un progetto chiaro e inequivocabile, su detto progetto vinca le elezioni.
Se ciò avvenisse la ripresa del nostro Paese non dovrebbe tardare. Grazie alle sue notevolissime risorse umane, già altre volte nella sua storia l’Italia ha risalito a spron battuto scale che in precedenza aveva disceso a precipizio. Perché ciò accada urge però una forza o una coalizione di forze politiche che finalmente non cerchi di salvare tutte le capre e tutti i cavoli, ma scelga senza riserve di stare dalla parte del mondo della produzione e della responsabilità personale e sociale senza scendere a ingiustificati e bassi compromessi con la pessima eredità lasciataci dalla guerra fredda, ossia la macchina distruttrice di risorse e di futuro costituita da un apparato statale inefficiente e spendaccione, da industrie avide di sussidi e privilegi sotto banco perché incapaci di stare sui mercati aperti della globalizzazione nonché dal fatiscente quasi-monopolio statale della scuola e dell’università.
http://robironza.wordpress.com
You must be logged in to post a comment Login