La crisi non è solo un fatto economico. Un intero sistema di valori sta perdendo consistenza sotto il peso della difficoltà finanziaria: a farne le spese infatti sono le categorie di cittadini maggiormente a rischio, quelle più deboli e meno autonome. Questo accade fondamentalmente perché l’etica sociale si è impoverita prima ancora di un intero Paese ed ha perso la bussola che orienta le scelte governative in ambito nazionale e amministrative in ambito locale. L’ordine delle priorità, ad ogni livello istituzionale, determina infatti sia l’allocazione delle risorse, sia i tempi e le modalità di programmazione e intervento, distinguendo ciò che urgente da quanto è dilazionabile, ciò che va garantito sempre e comunque da quanto può consentire un margine, più o meno ampio, di ridimensionamento delle aspettative. Alcuni settori, come l’assistenza sociale, la risposta ai bisogni fondamentali della persona, l’istruzione, la sanità, la vivibilità urbana appartengono alle necessità essenziali, quelle che danno ai cittadini la certezza di essere dentro un sistema che garantisce il diritto di ciascuno alla cittadinanza piena, attiva e responsabile.
Non rientra nella logica costruttiva di un “bene comune” il risparmio tout court su settori vitali della società, a meno che, appunto, non si considerino gli anziani, l’istruzione dei bambini e dei giovani, i disabili, i poveri, i senza tetto, i non autosufficienti, gli immigrati, i padri e le madri separati, i disoccupati o i giovani senza opportunità di impiego delle categorie sociali di secondaria importanza rispetto ad altre. I tagli imposti dalla crisi ricadono invece implacabilmente proprio sulla popolazione con minori forze di reazione, di ribellione verrebbe da dire. Uno “sciopero dei poveri” non farebbe tremare le vene e i polsi a nessuno, no? Il diritto all’assistenza, al sostegno, all’accompagnamento nella difficoltà è sancito dalla Costituzione, vale a dire che è a fondamento del nostro essere donne e uomini di questo democratico Paese. Non può essere un optional, né una bandiera partitica o ideologica. Deve essere una spinta ideale costitutiva, fondante di ogni sistema di governo, che sia la Nazione o il più piccolo comune. E, se così fosse, ci sarebbe una intera classe dirigente che si opporrebbe alla riduzione di risorse sui servizi sociali e alla persona, sulla sanità, sulla scuola.
La spina dorsale dell’assistenza resta perciò il grande mondo del volontariato e dell’associazionismo, che va a coprire tutte le falle che il sistema amministrativo non garantisce. Ed anche sulle già poche risorse su cui le associazioni no profit possono contare pesa la scure dei tagli, che si è abbattuta drastica e perentoria fino all’azzeramento totale degli interventi economici a favore di categorie come gli anziani soli o le persone non autosufficienti. Ma se non fosse per tanti cittadini che volontariamente si mettono “a servizio” della collettività e dei più deboli tanti ragazzi non avrebbero un servizio di doposcuola e sarebbero a forte rischio di abbandono scolastico, tanti anziani non avrebbero chi si occupa delle necessità quotidiane che incombono sulla loro fragilità anagrafica o di salute, tanti bambini e adulti disabili non potrebbero spostarsi da casa o fare sport o avere momenti di relazione con coetanei ed amici, tanti poveri sarebbero ancora più poveri e senza possibilità di alimentarsi almeno una volta al giorno e indossare panni caldi in inverno. Tanti “se” che da un lato dicono la grande maturità sociale, spontanea e irrinunciabile della gente comune, quasi sempre anonima e silenziosa. E dall’altro rendono sempre più urgente richiedere alle singole amministrazioni una trasparenza circa i valori di cittadinanza che ne regolano la programmazione e le azioni di governo.
Perché possa esserci chiaro, ad esempio, se il pino in Piazza Monte Grappa sia una questione prioritaria o secondaria rispetto alle vie di un quartiere senza illuminazione o ai tombini che rigurgitano acqua piovana e non solo perché non ci sono i soldi per pulirli. Per capire quanto viene investito in solidarietà sociale rispetto ad altri interventi o per comprendere se le logiche urbanistiche rispondono al reale bisogno di edilizia convenzionata o a canone calmierato di cui la città ha reale urgenza oppure si orientano verso la costruzione di edifici signorili che resteranno sfitti o, eventualmente, soddisferanno il gusto e non la necessità abitativa di chi già una casa, o più di una, ce l’ha.
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