“L’idea è semplice, ma anche molto affascinante: apriamo il Pirellone al pubblico. Permettiamo di salire fino in cima per vedere uno spettacolo davvero emozionante. Nelle giornate di sole e di cielo limpido si può vedere tutta la Lombardia e anche oltre. Il grattacielo simbolo di Milano venne ultimato nel 1960 e ancora oggi esercita un grande fascino. Non si capisce perché deve restare chiuso al pubblico. Si potrebbe lavorare a un vero progetto culturale e turistico intorno a questa bella struttura. Oltretutto, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, la sua apertura, con adeguate e differenziate tariffe, potrebbe produrre ricavi tali da poter assumere diverse persone. Per gli scettici, esiste un illustre esempio: il Panoramapunkt a Berlino.
Il grattacielo progettato da Renzo Piano è alto cento metri, è accessibile al pubblico attraverso un ascensore tra i più veloci d’Europa”.
Così ad agosto Marco Giovannelli direttore di Varesenews.it iniziava un articolo dedicato al Pirellone come possibile riferimento turistico e culturale dell’intera Lombardia. Proposta bene accolta negli ambienti politici dove già erano affiorate alcune ipotesi sull’utilizzo della struttura.
Piace oggi segnalare il contributo di idee che arriva dalla periferia ed è tenuto in considerazione da una Milano che in termini di centralismo non ha mai scherzato: ultimo esempio la Pedemontana che appare più concepita come circonvallazione esterna della nostra capitale che non un servizio alle città di confine. Speriamo quindi che l’invito di Giovannelli abbia un seguito e il Pirellone possa diventare attrazione e servizio già prima dell’Expo 2015.
Per noi scribi dei confini dell’impero lombardo sarebbe una bella soddisfazione “di squadra” vedere realizzato il progetto, sul piano individuale invece potrebbe esserci un tantino di invidia per l’iniziativa di Marco. Come nel mio caso se si considerano un paio di sconfitte per ko tecnico subite in modeste battaglie con tutori e gestori di giganti del cielo o di piccole torri cittadine.
Oggi a Berlino grazie a Renzo Piano furoreggia il Panoramapunkt come ricorda Giovannelli, invece ai tempi del Muro era la Berlino Est ad avere il grattacielo più alto, in cima al quale c’era un locale pubblico dove gli uomini erano ammessi solo se avevano al collo una borghesissima cravatta. Informato della bocciatura, cortese ma secca, ricevuta all’ingresso del locale da un collega che non amava le cravatte, gli suggerii di risolvere il problema come aveva fatto Clint Eastwood nel film “L’uomo dalla cravatta di cuoio”, un cult per la mia intera generazione. Il collega rischiò un severo interrogatorio da parte della temutissima Stasi essendosi presentato con la cintura dei pantaloni al collo: i tedeschi la considerarono una provocazione capitalistica.
Più diretta e personale la sconfitta che subii sulla destinazione della torre civica di piazza Monte Grappa, dalla cui sommità si gode una bella vista della città: non feci voli di fantasia, mi limitai a suggerire l’installazione di un piccolo ma efficiente ascensore per offrire la visione panoramica di Varese a turisti e curiosi, tanto più che non si presentava agevole la salita interna del campanile del Bernascone. Il mio suggerimento finì nel cesso: infatti la torre civica aprì i battenti, ma solo per ospitare appunto un gabinetto pubblico.
Ci pensò Roberto Gervasini, spirito allegro di una città prudente e a volte un po’ musona, a proporre un ruolo nuovo per la torre: essa andava capitozzata cioè tagliata perché potesse essere utilizzata come trampolino da coloro che volessero tuffarsi nella sottostante fontana. L’idea mi piacque, la sostenni, poi il mio direttore mi dissuase perché essendo anni in cui pessimi esempi diventavano il nuovo catechismo, era opportuno prendere in considerazione la possibilità che qualcuno non cogliesse divertimento, paradosso, ironia nella mia adesione al progetto di Roberto. Che era di fede radicale, sempre pronto a stupire, come quando, fotografato con tanto di kefiah e di sci, sulla “Prealpina” si proclamò musulmano “sciista”. Oggi Robi ha i capelli spruzzati di grigio e si occupa del Risorgimento in quel di Varese. Io leggo invece “Piemontesi bastardi” edito dal battagliero Bonfirrato e comincio a chiedermi se ce l’hanno raccontata giusta su quello che accadde giù al Sud. Ogni tanto do anche un’occhiata per scovare una torre alla quale dedicarmi. Naturalmente assieme a Robi, tutti e due consci dell’imbattibilità nel ramo del nostro caro, e invidiato, Marco Giovannelli.
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