Sono entrambi giovani, esili e pieni di energia. Lui ha la pelle scura e lineamenti caraibici, lei è una biondina con la coda di cavallo e pantaloni cargo. Sta scendendo la sera, l’aria umida ingoia i gemiti e i vapori chimici del traffico. All’incrocio con il viale di scorrimento il giallo ambrato del semaforo è agli sgoccioli. Un attimo prima del rosso scattano anche i due ragazzi. Si piazzano in mezzo alla carreggiata, sulle strisce pedonali, di fronte alla massa metallica di auto e moto con i fari accesi che freme e ringhia come un branco di belve.
Gli attrezzi di scena sono un cappello a cilindro e quattro “clave”, quattro birilli da giocoliere. I ragazzi lanciano in aria i birilli e li afferrano per il manico durante la fase discendente e intanto si scambiano il cappello, togliendoselo e mettendolo a turno sulla testa del partner. Lavorano in fretta, perché prima che torni il verde devono trovare il tempo di fare l’inchino e avvicinarsi ai finestrini per raccogliere l’eventuale obolo. Forse – penso – sono felici così, anche se sembrano orfani nella tempesta.
Mi fermo a guardare la ragazza sorridente e accaldata che si attarda nella raccolta delle monete. Quando l’occhio smeraldino del semaforo si accende lei viene agganciata dal retrovisore di un furgone, vola in aria insieme ai birilli e ricade di schianto, battendo il capo sul bordo del marciapiede. Il traffico prosegue, nessuno si ferma. Passa un pullman di turisti giapponesi, le facce impassibili incollate ai finestrini come creature marine dietro il vetro di un acquario. Per qualche secondo l’urlo del ragazzo sovrasta il mostruoso rombo della città sotto sferza.
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