È abbastanza normale che due toscani abbiano lingua supersciolta nel dar sfogo ad una accesa rivalità anche e, forse soprattutto, nello sport. E così Allegri e Mazzarri (stessa provenienza regionale) non hanno mai perso occasioni – è noto- per lanciarsi frecciate più o meno velenose in una diatriba che si presta ad una valutazione dei singoli meriti che sin’ora assente negli scritti.
Per cominciare non può non prendersi in esame l’antitetico modello di carattere tra i due. Vulcanico Mazzarri (spesso anche troppo), sempre agitato in panchina nell’impartire istruzioni ed incitamenti ai suoi giocatori e, all’occasione, costretto anche – per eccessiva esuberanza – a prendere, anzitempo, la via degli spogliatoi.
Imperturbabile l’altro in ogni situazione, immagine di una assoluta tranquillità anche in panchina quasi immerso in fasi di accentuato effetto sedato.
Attualmente trovandosi i due alla guida delle eterne rivali milanesi i confronti si sprecano. E, così stando le cose, anche i rispettivi bilanci non possono mancare.
Ne esce – è fin troppo evidente – assoluto vincitore Mazzarri che ha fatto bene (molto) alla guida di qualsiasi squadra e, ora, nell’Inter, sta’ ottenendo sicuramente risultati impensati. Capace di dare un gioco, di affidare ai singoli reparti compiti sempre opportuni.
Allegri ha avuto la “sfortuna” di trovarsi ad allenare, qualche anno addietro, un Cagliari che, in poche battute del campionato allora in corso, fu definito, da parecchia stampa, con giudizio fin troppo frettoloso, rivelazione dell’anno. Titolo di cui subito fu gratificato anche il suo allenatore.
Non passò molto tempo però all’afflosciarsi dell’iniziale baldanza dei rosso-blu che cominciarono a perdere colpi con conseguentemente inevitabile ridimensionamento di elogi anche per l’allenatore, cortesemente, invitato a fare le valigie.
L’anno successivo un Galliani, all’inizio di un certo declino in fatto di intuizioni calcistiche, ritenne,in una visione tutta sua personale memore solo dell’Allegri prima fase, di chiamare l’ex tecnico isolato a guida del Milan.
Venne subito – è vero – lo scudetto ad ornare le magie dei rossoneri ma fu anche facile prendere atto che il successo sembrò più da attribuire al valore dei singoli – Ibraimovich imperante – che non al gioco di squadra assolutamente latitante da allora le quotazioni di Allegri sono stazionate nella zona del dubbio e di ampie perplessità in una direzione, cioè, di incertezze sempre gravate dall’insufficienza di creare una manovra collettiva di un certo valore.
Né a modificare tale giudizio non certo positivo, hanno contribuito, più di tanto, le impennate di genio di Galliani teso a portare in rosso-nero più nomi noti (Balotelli, Kaka) che non ad individuare giocatori utili a formare un efficiente complesso e in particolare ignorando, totalmente, interventi indispensabili come quello di rafforzare una difesa allo sbando.
Allegri, quindi, nettamente perdente nel confronto con Mazzarri su tutti i fronti: tecnici e caratteriali.
Curriculum alla mano, considerando sia presente che passato, il divario a favore di Mazzarri resta netto ed inconfutabile. Di qui in poi si vedrà. Ma colmare il distacco non sembra cosa di poco conto.
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