È possibile un matrimonio tra economia e mondo cattolico? Con questa provocatoria domanda sono stato invitato nei giorni scorsi dai responsabili delle comunità dei frati cappuccini del Nord Italia a discutere dei problemi del mondo attuale, di come uscire dalla crisi, di come affrontare le tante ingiustizie della società. Temi certamente complessi a cui non si può rispondere se non indicando un cammino da percorrere, una strada da seguire. E in questo la dottrina sociale della Chiesa, con l’evoluzione del pensiero cattolico tradotto nelle grandi encicliche, si dimostra un navigatore efficiente e una guida affidabile.
Se pensiamo alla Caritas in Veritate abbiamo la dimostrazione di come l’attuale sistema economico, fondato sulla libertà d’impresa e sul mercato, non sia per nulla da contestare alla radice, ma invece da valorizzare mettendo al centro la realtà della persona e dando un’anima al sistema degli scambi anche attraverso la logica del dono e della solidarietà.
Ma andando alla radice l’incontro è stata così l’occasione per riportare in primo piano il fatto che le origini del capitalismo, che normalmente vengono associate all’etica protestante seguendo il pensiero di Max Weber, devono invece essere fatte risalire, sia nella teoria, sia nella prassi, all’opera dei francescani nei secoli centrali del Medioevo.
La teoria di Max Weber, uno dei fondatori della sociologia che visse a cavallo tra Otto e Novecento, sottolineava in particolare che il calvinismo avrebbe favorito lo “spirito” capitalistico, inteso come quella disposizione socio-culturale che non solo considera positiva la sete di guadagno, ma induce anche a reinvestire i frutti della propria attività per generare nuove iniziative economiche.
Senza nulla togliere a questa analisi si può tuttavia notare come la riforma protestante risale al Cinquecento dato che le “tesi” di Lutero sono dal 1517 e nella metà dello stesso secolo presero forma le prime comunità ispirate da Calvino.
Ebbene ben tre secoli prima il frate francescano Pietro Giovanni Olivi aveva il coraggio di infrangere la tradizione che proibiva il prestito con interessi e che considerava il denaro come un simbolo negativo di ricchezza. E così infatti si chiedeva: “Di fronte alla proibizione canonica dell’usura, è lecito distinguere fra il prestito di una somma di danaro qualsiasi e il prestito di una somma di danaro inscritto o da inscriversi nel processo produttivo, cioè impiegato in un programmato o già realizzato investimento produttivo?”. Ed ecco la risposta: “Ciò che è destinato a qualche probabile lucro non solo deve rendere il suo stesso valore, ma anche un valore aggiunto”. Un piccolo passo per un economista, ma un grande passo per un teologo. La distinzione fondamentale era quella tra sterile pecunia e capitale, quest’ultimo capace di generare altro denaro se affidato a uomini capaci e industriosi come gli artigiani o i mercanti. Si sente quasi risuonare la parabola dei talenti.
Con questa distinzione, Olivi mostrava attenzione ai prestiti al consumo che, se vietati del tutto, avrebbero ulteriormente impoverito gente bisognosa di piccoli prestiti.
Come ha scritto Oreste Bazzichi (Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica) i francescani, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, sono stati pressoché gli unici a elaborare, sul piano dottrinale, una teologia economica e, conseguentemente, a esercitare nella prassi un’influenza positiva per il superamento delle difficoltà giuridico-morali all’attività di impresa come l’interesse e la produttività del denaro.
La riflessione economica francescana diventa realtà concreta nei Monti di Pietà e nei Monti Frumentari, che servivano a calmierare il costo del denaro da una parte e il prezzo del grano dall’altra, a favore di che era in difficoltà e degli agricoltori. Il primo Monte di Pietà, fu fondato a Perugia da frate Barnaba Manassei da Terni nel 1462, qualche anno prima della fondazione della prima vera e propria banca (proprio il Monte dei Paschi di Siena di cui si parla tanto in questo periodo, ma per tutt’altre ragioni) . Nella logica francescana il denaro doveva essere al servizio dei poveri. Anche questo è (o dovrebbe essere) il capitalismo.
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