Nelle primarie di quasi un anno fa avevo votato per Matteo Renzi respingendo per una volta l’invito di Enrico Letta a votare Pierluigi Bersani. La sconfitta del sindaco di Firenze era scontata e questo verdetto per la verità non mi era dispiaciuto molto.
Perché?
Per la ragione che Renzi avrebbe probabilmente vinto le elezioni vere contro Berlusconi e Grillo ma con il PD che mal lo sopportava e tirava dall’altra parte (il 95% dei parlamentari e dirigenti nazionali gli era contro) avrebbe governato poco e male.
Ho un’opinione ferma e precisa al riguardo. A palazzo Chigi non si governa se non si ha il proprio partito alle spalle. Lo potrebbe fare solo un premier eletto direttamente dal popolo con un mandato pluriennale. In questo caso, sì, coperto dalla stabilità istituzionale sarebbe in grado di agire sul suo partito piegando le resistenze e ottenendo il supporto necessario.
Non a caso Renzi parla di sindaco d’Italia, vale a dire di un premier scelto dal corpo elettorale. Io ritengo più adatta per l’Italia l’elezione diretta del presidente della Repubblica sul modello francese. Cioè di un presidente che poi nomina il governo ma che resta il titolare ultimo dell’azione politica, che garantisce la continuità e che rappresenta la nazione. Ma tutto ciò potrebbe riguardare il futuro mentre allo stato attuale il presidente del Consiglio è votato dal Parlamento per il volere dei gruppi politici e dei partiti.
L’antagonista più intelligente ed autorevole di Renzi segretario del PD è Massimo D’Alema. Non per disistima nei confronti di Renzi, che considera il più forte candidato del centrosinistra per il governo, ma per un’ idea che D’Alema ha sempre avuto in testa.
La cosa più importante per lui è tenere in pugno il partito. In sostanza, va bene il Papa straniero per Palazzo Chigi (Prodi, Rutelli, Monti) ma ci vuole il monsignore amico (Bersani, Cuperlo) a casa propria. E Renzi non risponde a questo schema. È la tradizionale concezione del “partito chiesa laica”, una sorta di entità superiore da cui deriverebbe la legittimazione delle altre cariche. Sennonché si tratta di una concezione superata. Aveva la sua dignità con le ideologie al potere che rappresentavano insiemela Bibbiae il Vangelo ma oggi non più.
Franco Marini, pur provenendo da un’altra tradizione, la pensa quasi come D’Alema. È arrivato a dichiarare nell’ultima Assemblea nazionale che il prossimo segretario dovrà occuparsi per quattro anni del PD senza pensare di trasferirsi a Palazzo Chigi. Il rispetto che nutro per lui non mi impedisce di dire che considero una sciocchezza questa posizione. Se il segretario del partito che vince le elezioni e ha fatto bene è giusto che provi a governare il Paese alla prima occasione utile.
La fiducia del Parlamento a Enrico Letta, settimana scorsa, è stata ovviamente molto importante per l’Italia e per la sua stabilità politica allontanando le elezioni almeno fino al 2015. Sono però soddisfatto anche per le ripercussioni sul PD.
Finalmente potremo parlare del prossimo congresso in termini propri. Renzi competa con Cuperlo e Civati per guidare il partito, per cambiare il gruppo dirigente, per una forte correzione di linea, per introdurre più cultura di governo in un partito troppo abituato all’opposizione. Se ci riuscirà avrà conquistato una posizione favorevole per concorrere alle primarie, e se prevarrà, per provare a vincere le elezioni e guidare il Paese.
You must be logged in to post a comment Login