Beati i miti, perché avranno in eredità la terra (Mt 5,5). Non si tratta di una mitezza, che sopporta per rassegnazione, in quanto debole e senza capacità di reagire, quanto per convinzione. Il mite sa essere comprensivo, benevolo, ospitale, ritiene ci sia un disegno, che si configura al di là della situazione, pur brutale ch’essa sia, anche quando gli sembri tutto perduto continua a sperare. È afflitto, tormentato, ma fiducioso. Prototipo della mitezza è Cristo: Mt 11, 29-30. “Portate su di voi il mio giogo e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Poiché il mio giogo è soave e leggero è il mio peso”. E San Paolo (1 Cor. 4,21): Che volete? Che venga a voi con la verga, o nella carità e con spirito di dolcezza? In caritate et spiritu mansuetudinis. Questo spirito racchiude fede, speranza e carità. E prima (1 Cor. 4-7: “La carità è magnanima, è benigna la carità, la carità non si gonfia… non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.
Viene sconfitta la logica della violenza, dell’aggressività, della persecuzione, perché il mite lascia che le cose siano come stanno e fa coincidere la sua volontà con la volontà divina, desidera che in ogni cosa si attui la gloria di Dio, grazie alla pazienza, alla fermezza, ma soprattutto alla semplicità del cuore. Avendo un amore vero e perfetto, non privilegia se stesso, non si fa centro dell’universo, non si crede importante e spegnendo in sé ogni desiderio terreno eredita la terra, di cui si è fatto carico. È contento della salvezza che l’attende. Prende il male su di sé, in quanto innocente e sa che non trionferà alla fine. In quanto imitatore di Cristo in piena libertà si fa agnello di Dio oltre la logica sacrificale del capro espiatorio (violenza ritualizzata), fino alla croce. Nel fiat voluntas tua coincidono eteronomia e autonomia della volontà.
Gesù col Discorso della Montagna incoraggia alla mitezza in contrasto con la boria, l’arroganza e la superbia dei farisei, non esclude dalle sue frecciate gli zeloti, perché la violenza si risolve in ulteriore violenza (nessun sogno di ribellione contro i Romani), mentre i miti abitano in Dio nella pace. Entra in Gerusalemme su un asino, non reagisce all’arresto e depreca al contrario il gesto di Pietro che taglia un orecchio al servo del Tempio. “Tutti quelli che mettono mano alla spada, di spada periranno”. Non chiede a difesa il soccorso di dodici legioni di angeli (Mt 26, 52-53).
Praous nell’Etica nicomachea per Aristotele significa virtù da acquisire nel controllo dell’ira. La sua caratteristica è la medietà, mesotes, che squalifica gli estremi (iracondia-indifferenza); è escluso ogni nesso tra mitezza e umiltà, perché la vera virtù consiste nella magnanimità. Il fondamento poggia su basi interamente umane. L’individuo non deve subire impunemente oltraggi, minacce e prepotenze altrui, non porge certo l’altra guancia. Non così pensano gli stoici, che invitano alla tranquillità, a non reagire alle offese.
Venendo a tempi relativamente recenti Tolstoj predica la non violenza, la non resistenza al male. Solo che l’amore del prossimo assume in lui una chiara connotazione anarchica. Il vero Cristianesimo, il regno di Dio, non si concilia con lo Stato, con il suo dispotismo, con la sua violenza, con la sua giustizia crudele e con le sue guerre. Tolstoj non si appella alla trascendenza, perché Dio è in ogni uomo. Per Gandhi il principio di non violenza (che corrisponde al sanscrito ahimsa) è mancanza del desiderio di nuocere, mentre la resistenza non violenta è resa con satyagraha (adesione o forza della verità). La non violenza non è pusillanimità, bensì coraggio di lottare per affermare i diritti, pur nella mite sopportazione dell’ingiustizia. È forza dell’anima. Il male è conato del nulla, pura violenza distruttrice, mentre il bene sussiste in sé e non teme il nulla.
Purtroppo, rileva Albert Schweitzer, l’uomo moderno ha perduto o per lo meno assai indebolito la sua carica di spiritualità; preso dal turbine delle attività e dalle preoccupazioni del lavoro è diventato aggressivo e considera la guerra inevitabile, insensibile alle esigenze del prossimo. Dietrich Bonhoeffer infine, di fronte a una Chiesa tedesca che capitola dinanzi a Hitler, giunge a ritenere la mitezza anche assunzione di responsabilità attiva contro l’ingiustizia e la tirannide, ribellione.
Certo in tempi a noi più vicini si è compreso che la soluzione della crisi, l’uscita dal pericoloso stallo in cui viviamo, non consiste in continue proteste senza sbocco o in rabbia impotente o peggio in accondiscendenza a manifestazioni di ribellione sistematiche e inconsulte, bensì nel legare l’indignazione alla mitezza dettata dalla ragione. Abitare in pace la terra è abitarla umanamente con la mitezza dell’ospite, oltre il limite della sola convenienza.
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