Il continuo ed insistito richiamo di Papa Francesco a combattere il pettegolezzo e la maldicenza e a dominare la parola in ogni occasione in cui potrebbe arrecare solo del male, sino all’invito di “mordersi la lingua prima di aprire bocca” per non dire qualcosa di inutile o dannoso, non è solo il saggio richiamo di un buon parroco ma detta un metodo valido per ogni ambiente.
Saggio è chi parla solo per edificare o comunque per aprire un dialogo costruttivo, mentre una parola sbagliata o malefica può produrre solo danni e creare divisione, in una babele delle lingue che genera confusione, inimicizia, distruzione minando la bellezza delle relazioni. Ciò vale nella Chiesa, come alcuni brutti episodi di contese anche tra prelati ha messo in luce, ma vale tanto più nel mondo laico della politica. Il Papa giunge a dire che con una parola si può “uccidere” una persona, distruggendone la reputazione o la credibilità, e ciò soprattutto quando si elimina il vero senso della parola per usare i discorsi solo per l’effetto mediatico e sofistico che si intende procurare. Il guaio della politica è però che tante parole generano inquietudine, discordia e spesso paralizzano la possibilità di ottenere effetti utili al bene comune.
È quanto sta accadendo in Italia in questi giorni di confuso “dibattito” (si fa per dire!) politico che pare evidenziare solo una pregiudiziale inimicizia, una aprioristica volontà di dissentire, la rinuncia ad un punto di mediazione ragionevolmente accettabile come esito di un compromesso leale. Non basta, infatti, distinguere i piani di intervento e di azione (separando fatti personali, interessi di partito, questioni giuridiche, e quanto genera confusione), ma occorre ritrovare la chiarezza della propria proposta senza demonizzare la posizioni altrui o scadere nell’insulto. Bisogna ritornare a parlarsi con prudenza per cercare di non essere equivocati e senza secondi fini, ma su questo nessuno è esente da colpe e per nessuno vale il falso moralismo di facciata. L’antidoto non è la generica serietà di una certa onestà intellettuale, ma la ricerca di un vero dialogo che metta a confronto le ragioni delle parti stimandole per quel che offrono.
Nessun uomo può rispondere a tutto, ma certo è essenziale recuperare una fiducia nel valore anche delle parole, ed in questo Papa Francesco suggerisce la sobrietà del parlare come via per evitare la contrapposizione perpetua e la delegittimazione dell’altro. Anche da qui può ripartire una politica sana, in grado di ricreare fiducia reciproca non nascondendo gli inganni ma esercitando l’equilibrio anche nell’usare la lingua. Il recupero di credibilità politica passa anche attraverso un radicale cambiamento di atteggiamento che eviti slogan logori ed inutili che valgono solo ad innalzare muri invisibili di estraneità e di pericolosa inimicizia.
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