In quel tempo. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: / Rendete diritta la via del Signore, / come disse il profeta Isaia».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me, ed era prima di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. (Giovanni 1, 19-27a. 15c. 27b-28)
Facciamo risuonare la decisa domanda rivolta a Giovanni dai sacerdoti e dai leviti: “Tu, chi sei?”, dandole valore di richiesta di totale chiarezza, di trasparenza sulla nostra identità cristiana; come se ci venisse chiesto di testimoniare deponendo la verità sulla nostra appartenenza a Cristo. Come Giovanni, confessiamo chi siamo, confessiamo l’adesione e la fede nei confronti del Signore Gesù Cristo. Rispondiamo che non siamo noi Dio. Sì, togliamo tutti i dubbi sul fatto che potremmo crederci totalmente padroni del destino, onnipotenti, perfettamente consapevoli di come stanno tutte le cose ed assolutamente indipendenti nel pensiero, nell’azione. No, noi non ci crediamo degli dei…
Confessiamo pure di non crederci dei profeti, dei saggi, degli uomini lungimiranti, brillanti, con le risposte pronte. No, non siamo nemmeno come Elia. Se proprio dobbiamo dire chi siamo perché qualcuno vuole saperlo, diciamo che siamo pure noi delle voci che testimoniano, più o meno fortemente, che esiste Dio e che cammina senza sosta nel mondo, facilitato dalle nostre fatiche nel preparargli l’ambiente migliore per la sua azione redentrice. Diciamo che testimoniamo la fede cristiana preferibilmente nei luoghi più sfavorevoli, nei posti desolati, dove è maggiore la consapevolezza della precarietà, della fatica del vivere e dove è più urgente sentire la parola di qualcuno che porta la lieta notizia della felicità possibile.
Non chiediamoci invece perché dovremmo stare con il Signore ed imitarlo visto che non siamo come lui, né come Elia, né come profeti; non chiediamocelo, perché rischieremmo di peccare di falsa modestia, sottovalutandoci pur di non fare lo sforzo di stare dietro a Cristo. Che lo si voglia o meno, noi possediamo delle qualità che ci impongono di cercare la perfezione divina senza rinunciarvi mai, consapevoli di non poterla raggiungere pienamente, ma nello stesso tempo desiderosi di avvicinarvisi il più possibile. E queste qualità sono la forza, l’intelligenza, la sapienza, l’interiore capacità di consiglio, la capacità di comprendere e spiegare, la facoltà d’essere giusti, buoni, devoti; infine possediamo quel timore di Dio che è la riconoscenza della sua grandezza, per la quale possiamo osare l’inosabile. Questi sono doni resi durevoli dallo Spirito che sta nei cristiani, Spirito mai domo, che grida se serve nel deserto del cuore prosciugato dal male poiché, “come la cerva”, “anela ai corsi d’acqua” (Sal 41) del suo Regno.
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