Varese si riconosce nella svolta politica nazionale. Vi legge il suo dna storico. S’identifica nel tentativo di composizione d’un nuovo polo moderato. Varese è una città moderata da sempre. Lo era quando, soggetta all’occupazione straniera, trovò il modo di conciliare l’esigenza del suo sopravvivere con la pretesa di dominazione altrui. Lo era quando, liberata dal forestiero, entrò nell’Italia unificata e rifuggì dalla perpetuazione dell’estremismo garibaldino (allora appariva un estremismo). Lo era quando, all’alba del Novecento, lo scontro tra conservatori e progressisti infiammava gli animi, l’amministrazione locale e naturalmente le urne. Lo era quando, subìta la dittatura fascista, si sforzò di temperare la burbanza del regime opponendovi la capacità d’integrare molti dei suoi eccessi. Lo era quando, all’avvio dell’era democratico – repubblicana, si parcheggiò per poco presso una municipalità di sinistra con il retropensiero di ritornare in fretta sul versante opposto.
Un versante tuttavia dal profilo morbido, privo dell’altimetria radicale. Varese non ha mai amato la destra radicale. La sua urlata marginalità. Il suo viscerale anticentrismo. Ha amato il contrario: la misura, la prudenza, la sobrietà. Ha mantenuto questo rango di naturale equidistanza in ogni cimento d’epoca, nel passato lontano e in quello vicino. Anche l’avvento del fenomeno berlusconiano non l’ha indotta a cambiare umore, opinione, comportamento. Il Cavalierismo non ha trovato qui cavalieri intimamente fedeli. Ne ha trovati di disponibili a scortarne l’ambizione, a percorrervi insieme un tratto di sentiero, ma non a cedergli le proprie insegne. Esattamente ciò ch’è accaduto a proposito della Lega, mai sposata nelle sue manifestazioni mitico – ideologiche, nelle sue insofferenze etniche, nelle sue ruvidità padane e invece fatta segna d’attenzione pragmatica, sostanziale, vantaggiosa.
Varese ha preso in prestito le ripetute occasioni fornitele da Berlusconi, e gli ha prestato per calcolo il favore elettorale. È stato uno scambio di convenienze, e tale è rimasto. Ne è dimostrazione la scarsa affettività di schieramento, l’adesione un po’ neutra se non fredda, il riflesso di circospezione mai nascosto e, in qualche circostanza, neppure negato. Il blocco sociale che negli ultimi vent’anni ha votato prima Forza Italia e poi il PDL, ha votato soprattutto per se stesso. Per le necessità della piccola e media borghesia, dell’universo del commercio e delle professioni, delle partite IVA, del popolo refrattario a un sinistrismo sordo a rispondere a domande pratiche. A fare da sfondo costante, il mondo cattolico nella sua unicità, pur tra rappresentazioni differenti della vocazione condivisa. E, in questo mondo corale, la voce acuta, influente, decisiva, perfino (è osabile dire) carismatica della componente ciellina, che ha fornito progettualità, personale, cifra credibile alle istituzioni, non fidandosi del rampantismo arcoreo e filoaziendalista in scalata sulla parete del potere.
I moderati di Varese non hanno bisogno d’adeguarsi agli avvenimenti di Roma. È semmai, e sia pure immaginificamente, vero il contrario: è Roma che si adegua a Varese, assegnando al berlusconismo una funzione semplice di servizio e non complicate finalità salvifiche del Paese. Che non ha bisogno di salvatori, ma di servitori. Intesi nel significato nobile della parola, e non in quello spregiativo, così purtroppo e giustamente in auge.
You must be logged in to post a comment Login