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Universitas

LA FELICITÀ DELLA CULTURA

SERGIO BALBI - 27/09/2013

Esiste una relazione tra cultura e felicità? Credo che in ogni ambiente scolastico, dalla scuola dell’obbligo all’università questa sia una domanda necessaria per chi porta cultura e per chi cerca di crescere in essa; si deve però puntare all’essenziale e come diceva Giovanni Paolo II nella sua omelia pronunciata a Castelgandolfo il 2 settembre 1979: “Il cristiano sa che lo scopo della vita è la felicità”. Ma guardandoci intorno viene da pensare che questa relazione non esista, abbiamo sotto gli occhi la storia della cultura dove esistono addirittura sistemi filosofici o letterari di altissima costruzione il cui condensato è una visione disperata della vita; d’altro canto è esperienza comune che in tutti gli ambienti dai più accreditati come poli culturali alle periferie più degradate l’insoddisfazione, l’infelicità sia ampiamente distribuita, pare che non guardi in faccia nessuno.

Lavorando però per la cultura qualche cosa dobbiamo cercare, per dare una risposta positiva alla domanda iniziale, perché, ripeto, è uno dei punti, degli obbiettivi di ogni attività umana, inteso come obbiettivo essenziale; certo il prestigio, la possibilità di appropriarsi di strumenti che garantiscano un’ampia libertà di scelte, la possibilità di acquisire risorse che riescano a incidere in modo riconoscibile sulla direzione del mondo sociale, financo il giungere al potere per sé o al guadagno per sé sono solo alcune delle ricadute che la cultura in senso lato (tecnico scientifica, umanistica, politico-amministrativa) possono portare, ma hanno un sapore effimero, di insoddisfazione, facilmente destinato al disfacimento qualora una condizione giunga a minare la linearità di questo percorso in ascesa, perché non sono essenze ma orpelli.

E allora prima di buttare alle ortiche la ricerca, la passione per la cultura prendiamo coscienza di quanto Paolo VI nella sua esortazione apostolica Gaudete in Domino del 1975, indicava in modo crudo quello che è il nostro ambito, lo spazio e il suo correlato temporale nel quale ci è chiesto di muoverci tutti i giorni:”….non esiste felicità perfetta. L’esperienza della finitudine, che ogni generazione ricomincia per proprio conto, obbliga a costatare e a scandagliare lo iato immenso che sempre sussiste tra la realtà e il desiderio di infinito.”

Cultura trae la sua radice da coltivare, mentre felicità da fertile, nutriente, fecondo appunto. Ecco allora che il terreno della cultura va coltivato va incoraggiato e l’opera buona, l’educazione consiste nello scoprire quali strumenti siano i più nutrienti, fecondi, che rendano quindi feconda la terra da arare che siamo. Il percorso che vorrebbe colmare lo iato tra finitudine e senso di infinito (altri direbbero il senso tragico della vita) non potrà mai dirsi compiuto nel cuore di ciascuno ma chi forma abbia la capacità di far scoprire a chi è formato la gioia del proprio humus del proprio nutrimento e lo appassioni nella propria ricerca. Cultura (intesa allora nel suo carattere più esteso di insieme delle attività umane) e felicità sono il terreno e gli attrezzi che se scelti bene, se ben accoppiati nel cuore della persona aprono lo sguardo sulla coscienza di un lavoro fatto bene, che calma, che spinge al meritato riposo, che apre, fino al (raro) miracolo di una certezza dell’affidarsi, al mistero di un senso a tutta questa fatica, perché vede un giusto cammino, impervio certo, sempre scandagliato dal male ed i suoi agguati, ma mai fermo come una barca in mezzo all’oceano, in bonaccia, senza remi e senza vela o come un bimbo nel paese dei balocchi con tutto, veramente tutto per essere felice ma imbronciato e malinconico perché nessuno gioca con lui. La comunità umana e le sue relazioni sono l’unico veicolo di questo avanzare e sono la tessitura, la trama forte, che deve tenere, sulla quale si ricama il binomio cultura felicità.

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