La cultura della cooperazione nel Reggiano ha radici profonde, è stata decisiva in momenti drammatici, ha sviluppato un forte, esemplare senso di solidarietà, di attenzione e comprensione verso il prossimo. Cooperare significa anche partecipare, dare concretezza alle aspirazioni di cittadini che otterrebbero ben poco o magari un bel niente se cercassero la mediazione di coloro che hanno scelto come rappresentanti negli ambiti istituzionali.
Non è un caso che Reggio Emilia sia la città di Camillo Prampolini che indicò anche nella cooperazione la via del riscatto e del progresso in un Paese che tra il 1800 e il 1900 traboccava di sfruttati e di poveri.
L’accenno al “fare cooperativa” non è casuale: ho appena letto che, appunto a Reggio Emilia, è stato inaugurato un ampio poliambulatorio (600 mq) dotato delle principali tecnologie e dove si prestano cure per numerosissime patologie.
Si tratta di una iniziativa nel quadro della “sanità leggera”, quella che concerne i servizi erogabili in poliambulatori e laboratori odontoiatrici. L’offerta dei servizi è gestita da una società nella quale sono confluiti consorzi e cooperative sociali, Confcooperative, CNA, una banca locale e un partner tecnico, emanazione di un importante gruppo sociale nazionale.
Il nuovo soggetto non ha scopo di lucro, amplia ed integra l’offerta privata a sostegno dei diversi ceti sociali e, al contempo, offre nuovi strumenti di collaborazione al sistema pubblico.
Viene alla mente il detto chi fa da sé fa per tre, ma indubbiamente non si può non guardare con ammirazione e pure con un pizzico di invidia a una città che certamente non evita in altri settori il morso della crisi, ma che ricorre alla sua storia sociale, alle sue dirette esperienze per trovare soluzioni importanti anche sotto l’aspetto psicologico dal momento che i cittadini la sentono molto vicina.
A Varese oggi non esistono le condizioni per cercare soluzioni tanto ricche di positiva socialità, la nostra storia è diversa e siamo al momento del gambero sul fronte della salute.
Il problema di una assistenza erogata in modo più razionale, secondo alcuni sanitari da noi interpellati potrebbe essere avviato anche con piccoli passi e in settori di minore impatto come la centralizzazione degli ambulatori dei medici di base in sede unica in ogni quartiere e dotata di supporti e attrezzature da sanità leggera che possano evitare lunghe attese e disagi in ospedale. L’assistenza potrebbe migliorare nella tempistica con la delocalizzazione delle autoambulanze Cri in un due o altre sedi cittadine al fine accorciare i tempi di soccorso.
Le cooperative sociali da noi non hanno dimensioni imponenti, ma esistono, possono essere un riferimento, inoltre grande è il cuore dell’associazionismo e del volontariato, grande è ancora l’impegno dei privati nella tutela della salute dei cittadini.
Non c’è solo la via socialista alla sanità, ce ne sono altre parimenti efficaci e utili. Negli ultimi due decenni la politica nazionale e regionale non è stata garbata con la Varese della salute. Ha voluto impartire lezioni di managerialità a gente che ha fatto la storia dei nostri ospedali. Tendersi di nuovo la mano e cogliere una buona occasione per riprendere dialogo e collaborazione: dall’Emilia arriva uno spunto che merita riflessione.
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