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Cultura

NELLA CASA DI YVONNE

LINDA TERZIROLI - 20/09/2013

“El misterio” di Yvonne Muizert

Per la prima volta, entro nella casa di Yvonne Muizert, esito un attimo sulla soglia e la prima immagine che vedo è un treppiede che sorregge un’enorme pagina bianca con quattro ritratti a carboncino di un uomo di mezza età, due bene a fuoco, uno allegro a destra, uno più triste a sinistra, gli altri due appena abbozzati. Saper disegnare è davvero un dono divino. Yvonne mi accoglie, sorridente come sempre, da dietro un paio di occhiali che acuiscono l’effetto magnetico dei suoi occhi acquosi e azzurrissimi e mi mostra, con un ampio gesto del braccio, la sua casa colorata che si direbbe, dalla forma e dalla disposizione, una casa sulla spiaggia. Eppure la spiaggia non c’è: siamo a Bardello, vicino alla più nota Biandronno, nel cuore del vecchio paese, un paese di passaggio, fra un lago e un altro.

E lei, Yvonne, nata in Olanda, ha deciso di abitare qui, lontana parecchi chilometri dalla sua lingua madre e da tutte quelle strade che portano al nome conosciuto della città che si dice natale. Ma andiamo con ordine e, in italiano, iniziamo a parlare Yvonne e io, sotto il patio della sua casa sulla spiaggia, mentre da un giardino vicino si irradia un’allegra melodia di fisarmonica e così si dipana la storia di quest’artista che Varese non conosce, ma il mondo sì.

Nata a Schiedam, nei Paesi Bassi, una città grande più o meno come Varese, ma attaccata alla celebre Rotterdam, Yvonne Muizert da sempre inseguiva e assecondava la sua autentica passione per il disegno, fin dalla più tenera età e lungo tutta la sua vita e i suoi studi, fedele compagna di una vita. Senza seguire un percorso “accademico”, refrattaria a un sistema scolastico “troppo scolastico e in conflitto con me”, Yvonne frequenta una scuola per diventare tecnico biochimico di laboratorio, intraprende una ricerca per conoscere i materiali di cui è fatta l’arte e di cui è fatta l’ispirazione artistica. Conosce molti artisti e trova fra questi una pittrice affermata, Paola Kouwenhoven con cui stringe amicizia, e che ritrova nei disegni, nei quadri della Muizert un autentico talento.

Fino agli anni ’90, Yvonne lavora su commissione, affronta temi e suggestioni che le provengono dall’esterno, ma ancora non è arrivata al fulcro della sua creazione artistica. Non è soddisfatta e la ricerca continua. Approdata in Italia, nel 1998, incontra altre artiste olandesi di passaggio a Varese e nella provincia, e una di loro, di cui non faccio il nome, un giorno le indica una strada da intraprendere: la scultura. E per Yvonne si rivela il grande amore, amour fou.

Comincia così a partecipare ai simposi artistici di Paola Kouwenhoven, che dal 2007 coinvolge la sua allieva-amica dapprima come disegnatrice, poi nelle vesti a lei più congeniali di scultrice. Dall’Indonesia, al Giappone, passando per la fattoria olandese di Delft, per la “World Art Delft”, Yvonne mi rivela che è la scultura che le dà gioia, perché “la scultura ha un movimento, un’energia che la pittura non ha”.

Di quale scultura parliamo? “Marmo (di Carrara), legno, alabastro, vedi: è come, diremmo in olandese, un pezzettino di moneta è caduta”. Questo pezzettino di moneta è, per Yvonne Muizert, l’ispirazione artistica che viene all’improvviso, anche passeggiando con un’amica per le strade di Gavirate, e vuole essere assecondata. Vedo una donna metà di gesso, metà di rete, con lo scheletro di rete metallica, a grandezza naturale, sotto il portico, non è un’opera finita ma s’impone dall’alto della sua femminilità irretita.

Vedo poi il laboratorio dell’artista e il suo amore per il legno: “Il legno dei laghi ha una storia, questo è il legno del lago Maggiore, il lago lo leviga, il legno ha vissuto. Il legno deve avere una voce, deve dire qualcosa. Questo legno è un ragazzo di tredici anni, melanconico…”.

Le combinazioni sono perlopiù di due materiali, in contrasto più che in combinazione. Il bianco negli ultimi anni è diventato il colore preferito della scultrice che ha iniziato ad amare la carta, insieme all’acqua, che viene dal legno e ne condivide la memoria. “Quando noi accartocciamo un pezzettino di carta, – mi dice Yvonne mostrandomi un pezzettino di carta – la carta non si dimentica, la carta ha una memoria, si ricorda persino di una piccolissima piega. Così ho potuto creare le onde del mare, il cielo”.

Verso l’astratto? No: “non voglio lavorare sul realistico, ma non voglio nemmeno astrarre un tema fino a non farlo riconoscere. Voglio che il soggetto venga riconosciuto”.

Il singolo battito d’ali di farfalla può essere ritrovato tra le pieghe di un’opera artistica, nel tentativo di evocarne la leggerezza anche in un foglio di carta, come su un blocco d’alabastro, così fragile e pur così forte, così pesante, così delicato.

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