Il birro (anche per una derivazione dal dialetto riminese) è il montone, l’ariete, quell’animale che svetta sugli altri del gregge e che tiene sotto controllo le pecorelle. I birri per antonomasia sono quei giovanotti un po’ fannulloni e palestrati che di giorno sulla spiaggia e la sera nei locali del lungomare adriatico danno la caccia alle ragazze, una volta soprattutto le tedesche e le svedesi, oggi le russe. Fellini vi si ispirò nel 1953 per girare un suo film divenuto famoso, che però – probabilmente su consiglio del più moderato Ennio Flaiano – volle titolare “I Vitelloni”.
Sulla storia e sul carattere dei birri sono stati scritti saggi interessanti. Viene in mente il capitolo – una quarantina di anni fa – di un volume sponsorizzato proprio da Federico Fellini “La mia Rimini”, capitolo intitolato “L’avventurosa estate dei birri” e scritto da un grande giornalista, che era stato inviato dell’Unità e del Giorno, Guido Nozzoli. Ora – sulla storia dei birri ma non solo – è stato pubblicato un libriccino redatto a sei mani da tre autori, conoscitori profondi degli andazzi del birrismo – Tiziano Arlotti, Giuliano Ghilardelli e Mario Pasquinelli – “Falce, martello e lasagne”, dove la falce e il martello appaiono invero icone politiche un po’ logore, mentre sopravvivono alla grande quelle gastronomiche: le lasagne o – per rimanere nella città di Rimini – i cappelletti, i passatelli e le piadine.
A parte il riferimento alla cucina, il libretto è utile per sapere della storia, quella aurea e felice degli anni Cinquanta e Sessanta, di un certo modo di sostenere il turismo, quando i birri davvero furoreggiavano nelle balere, non ancora discoteche, e nei locali della costa. Se ne ricordano alcuni, più o meno à la page, che fanno ormai quasi parte della mitologia:la Villadei Pini e il Garden Ceschi di Viserba, l’Embassy, il Confidential, il Las Vegas di Rimini, e più giù – verso Miramare e Riccione – lo 007, il Serenella, il Savioli… Anche i nomi e i soprannomi dei birri sono mitici, spesso legati al mondo animale: Ramarro, Lince, Falco, Farfallino, Squalo, Zingaro; i quali birri, si presume nei primi anni Sessanta, diedero vita a un torneo-festival con tanto di punteggi relativi alle conquiste effettuate: 2,5 per le nordiche, 1,5 per le tedesche; e anche con dei malus o penalizzazioni (ma la questione com’è ovvio fu abbastanza controversa) riguardanti alcune prede italiane: un punto in meno per ogni bresciana o comasca o bergamasca adescata.
Il primo torneo-festival, si racconta, fu vinto dallo Squalo con una ventina di punti. Il Ramarro e lo Spudorato, dati per favoriti, quell’anno rimasero al palo e altri dissero che avrebbero potuto vincere il festival “d’ pugnéti”…
I paragoni sono sempre tirati per i capelli. Ma la lettura del libriccino sui fasti della Riviera romagnola e della città di Rimini richiama un po’ alla mente i birri nostrani, e com’erala Varesedegli anni Sessanta, dove per esempio – sotto i portici di corso Matteotti – furoreggiavano personaggi diversi, i dioscuri della pallacanestro Dino Meneghini e Dodo Rusconi, altri aitanti rampolli della facoltosa borghesia locale; e dove talvolta era possibile incontrare il calciatore Bruno Mora, lo scrittore Piero Chiara, e anche l’attore Ugo Tognazzi, che teneva casa a Galliate Lombardo. La loro spedizione non si concludeva sulla spiaggia o in balera o al night, ma più sobriamente al caffè Zamberletti e in qualche rosticceria.
Si tratta come si vede di un birrismo tutto particolare, non eletto a stile di vita, e che si conduceva anzi quasi sotto tono, nonostante la fama dei richiamati. Tuttavia ci furono protagonisti e azioni che meriterebbero, anche qui, un mini-trattatello. Giornalisti e scrittori buoni conoscitori della materia (pensiamo a Mauro della Porta Raffo o a Giancarlo Pigionatti) ce ne sono.
A giudizio dei tre autori riminesi di “Falce, martello e lasagne” il birrismo si concluse o cambiò la propria natura con l’avvento del Sessantotto. Magari non scomparì del tutto, ma di sicuro subì una svolta importante nell’epoca della contestazione. Non si può dire in effetti che gli anni Settanta, e i successivi, furono anni di birri. E oggi si stenta a ritrovarli in fondo alle scalette dei charter che approdano all’aeroporto Fellini provenienti da Mosca o da San Pietroburgo.
Meglio così, meglio di quanto accaduto nel passato. Il birrismo in verità c’era già negli anni Venti e Trenta. E il primo duro colpo – racconta il giornalista Guido Nozzoli – gliel’aveva dato Benito Mussolini il 10 giugno 1940.
Fu un modo brusco di concludere la giovinezza. Allora tanti birri di Rimini – e di tutt’Italia – si dispersero nei fondali del Mediterraneo, nei deserti d’Africa, in Grecia, in Albania, nelle steppe di Russia.
You must be logged in to post a comment Login