Del pittore-mugnaio Innocente Salvini (Cocquio Trevisago 1889-1979), il critico varesino Emilio Zanzi citava negli anni Sessanta parentele artistiche con Van Gogh e Gauguin, con Masaccio e Tintoretto e osservava che “la sua pittura nasce dal profondo dell’anima religiosa” riconoscendogli “il bisogno spirituale di operare fuori d’ogni cultura”. Parlando ancora di lui l’intellettuale Vittorio Beonio Brocchieri annotava nel 1950 che “le tonalità di luce e la interpretazione del fuoco solare contro le ombre terrestri sembrano ispirate al paesaggio tipico della Palestina” e gli consigliava un viaggio in Terra Santa.
Al sentimento del Sacro e ai bozzetti di Innocente Salvini è dedicata la mostra Alla radice del colore che resterà aperta fino al 29 settembre nella Bottega del Pittore ad Arcumeggia. La mostra fa parte del progetto Oltre Lo Sguardo, il colore e il segno di Innocente Salvini nelle opere delle collezioni private a cura di Serena Contini e Daniele Cassinelli con l’allestimento e le fotografie di Paolo Zanzi. Il progetto si articola in altre due tappe dedicate ad aspetti diversi dell’arte del maestro: Dall’Idea al disegno in corso al museo Bodini di Gemonio e Il Colore e il Segno al Centro Documentale di Cassano Valcuvia, entrambe visitabili fino al 3 novembre.
Salvini sentì forte la tensione di cattolico e la sacralità della natura, partecipò a numerose mostre d’arte sacra, andò a Roma per il Giubileo del 1925 e ancora nel 1950. Sue opere sono conservate nei Musei Vaticani. Ve le portò nel 1966 monsignor Pasquale Macchi segretario particolare di papa Paolo VI che frequentava il mulino-atelier di Gemonio popolato di maiali e galline, dove il pittore viveva isolato in un piccolo universo agreste; e dove, da bambino, preparava i colori sbriciolando pezzi di mattone per ottenere il rosso e pestava l’erba per il verde. Vedeva l’ombra come una luce diversamente colorata e l’ombra era sempre del colore complementare alla parte illuminata: verde se rossa, azzurra se arancio, violetta se gialla.
Nei dintorni del Mulino Salvini ambienta episodi evangelici raffigurando personaggi della sua famiglia. Il fratello Giuseppe compare nella tela intitolata al Figliol Prodigo del 1925 mentre pascola i maiali. La madre e di nuovo il fratello sono ritratti mentre pregano nell’Angelus che rimanda alle intime opere della stessa tematica realizzate da Segantini e il quadro fu scelto da Pasquale Macchi per le Gallerie Vaticane. La tela non trovò posto per le grandi dimensioni e Salvini la sostituì con un’altra intitolata Mio Padre in Verde del 1916. I buoni rapporti con l’alto prelato varesino, arciprete a Santa Maria del Monte e poi vescovo di Loreto, permisero al pittore di ottenere l’onorificenza di commendatore dell’Ordine di San Silvestro Papa nel giugno del 1967 e di essere ricevuto in udienza privata da Montini nel dicembre del 1968.
Serena Contini, bibliologa e storica dei Musei Civici di Varese, studiosa fra l’altro di Piero Chiara e del lapidario di Palazzo Estense, si è già occupata del pittore di Gemonio con il libro Il colore per me è come un delirio – Carteggi di Innocente Salvini con Siro Penagini e con Emilio Zanzi (Alberti Libraio Editore, 2010). “Salvini – spiega – fu accostato alla pittura “fauve” per il colorismo esasperato che è al centro della sua poetica e Giovanni Testori in un articolo per il Corriere della Sera, nel 1980 parlò a proposito della sua pittura di “modernità su un piano totalmente europeo”.
Nella sua produzione d’arte sacra – aggiungela Contini– un posto preminente spetta agli affreschi della chiesa di Sant’Ambrogio a Laveno Mombello che furono inaugurati il 3 giugno 1962. Il pittore vi lavorò per circa quattro anni coronando la cupola con i quattro evangelisti, illustrando due mezzelune con le immagini di SantìAmbrogio e San Carlo e cinque episodi del Nuovo Testamento; per uno dei quali,La Comunionedegli Apostoli, si valse come modelli dei mendicanti del paese sostenendo che gli apostoli si dovessero raffigurare con le sembianze della gente del popolo, pescatori e contadini e non di figure gentilizie, come generalmente venivano dipinti.
Il conte milanese Angelo Cicogna gli commissionò quattordici tele perla Via Crucisnel bosco del convento dei padri Passionisti di Caravate, un’opera che ha una storia curiosa. Salvini utilizzò il nipote Mosè Visconti come modello per la figura centrale di Cristo e annotò nei Quaderni: “Sono contento che mi sia stata offerta l’occasione per un’opera complessa e commovente comela Via Crucis.Non ho fatto dell’arte sacra, ma nell’insieme le mie opere sono religiose e io ho una fede religiosa.La Via Crucisda me dipinta l’ho sentita in una maniera semplice e non teatrale. Il protagonista divino è Gesù e la sua croce; per la massima parte il dramma l’ho fatto consistere e l’ho limitato in un grande dialogo, in un dramma a due”.
Le quattordici tele furono collocate nelle cappelle nel 1956 e Salvini spiegò che “il dramma della Via Crucis si incendia in braciere per lo più rosso nel colmo della tragedia, seguendo la violenza della mia tavolozza e qualche volta il cielo smeraldo della Terra Santa”. Il critico d’arte Mario Manuli osservò che l’artista “esalta e celebra la divina vicenda con l’anima infervorata di un sincero credente e di un poeta cristiano”. Le opere originali furono poi sostituite da altre dello stesso Salvini perché troppo sensibili al mutare delle condizioni atmosferiche e, su interessamento di Floriano Bodini, furono infine sistemate nella chiesa parrocchiale di Gemonio, cui il vescovo Macchi le aveva donate.
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