A un secolo della nascita di Piero Chiara (marzo 1913) e a sette da quella di Giovanni Boccaccio (giugno 1313), si celebra fra pochi mesi il trentennale dell’opera che lega direttamente il romanziere di Luino al novelliere di Certaldo. È il “Decameron raccontato in dieci novelle” che Chiara scrisse nel 1984 per Arnoldo Mondadori con le illustrazioni di Giuseppe Madaudo. L’autore de “Il pretore di Cuvio”, il romanzo forse più vicino allo spirito di una novella boccaccesca, si sentiva un figlioccio d’arte del trecentesco scrittore toscano tanto da applicarsi all’impresa – come annotò nell’introduzione – non di “aggiornare un classico che sarebbe follia ma di mostrare la forza narrativa del Boccaccio, la quale è tale da trapassare, d’epoca in epoca, in tutti coloro che si pongono all’impresa del raccontare”.
Rivivono nelle dieci novelle, scelte fra le cento che compongono il Decameron originale, personaggi indimenticabili come il notaio ser Ciappelletto ladro, spergiuro e violento, “bestemmiatore sempre disposto a dar mano in ogni malefatta” che grazie a un’abile confessione morì in odore di santità circondato da “chi gli baciava le mani, chi i piedi, chi gli strappava i panni di dosso per farne reliquie”; o come l’arguto cuoco Chichibio che tentò di convincere il gentiluomo fiorentino che la gru che gli aveva cucinato e servito in tavola avesse una gamba sola perché era solita starsene in piedi, in quel modo, sulle rive dei fiumi o nei luoghi palustri.
Spiega Chiara in apertura del libro: “Raccontando dieci delle sue storie come le potrebbe esporre uno scrittore di oggi, ho avuto la sensazione d’averlo a lato, Messer Giovanni, quello degli anni napoletani, quando organizzava i materiali che avrebbe calato sulla pagina per rappresentare nient’altro che la vita, quell’intreccio di bene e di male, d’innocenza e di malizia, di gioia e di tristezza che è la vita”. E aggiunge: “Il vero eroe del Boccaccio è l’uomo deriso, scornato, sottomesso. Quando costruisce uno dei suoi personaggi, adoperandosi come un moderno narratore intimista e psicologo, lo studia nella sua struttura morale e ne rovescia quasi la pelle per mostrarlo in tutta la sua sostanza”.
Si coglie nelle sue parole un’affinità umana e letteraria con l’antico maestro che, come lui, fu una miniera di storie maliziose raccontate con eros: “Davanti alle pagine del Decameron tace lo studioso, tace il commentatore di Dante o l’ammiratore del Petrarca e si libera l’uomo d’esperienza, l’osservatore della vita, il pratico d’imbrogli amorosi e d’ogni altra miserevole o felice vicenda umana. È in uno strato così spesso di umanità e in un così fitto incrociarsi di destini particolari e generali, che egli affonda le mani per trovare i materiali che gli consentono la costruzione del suo Decameron, nel quale “piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti si vedranno così ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi”.
“Il che vuol dire – prosegue il romanziere di Luino – che per il Boccaccio come per ogni vero narratore, lo spettacolo del mondo è sempre il medesimo, immutabile in ogni tempo e che la vita non è altro che un seguito di più o meno fortunati accadimenti, dentro i quali l’uomo si dibatte col suo poco senno e con la sua immensa presunzione. Il Decameron, specchio dell’umana condizione più che della corruzione di un’epoca, ha potuto proprio per la sua intima forza iniziare una navigazione ininterrotta attraverso i tempi, davanti ai quali si è presentato di volta in volta non come un relitto di altre età o un esempio di forme letterarie prescritte, ma come una perenne lezione sull’uomo”.
Per Chiara “il Decameron era destinato dall’Autore a sollazzare le donne, alle quali intendeva procurare un piacevole svago e un aiuto a vincere la noia della vita casalinga”. E il creatore dell’Orimbelli, del Càmola e della Tarsilia chiude con una riflessione che lo accomuna all’inventore di frate Cipolla, di Calandrino e Buffalmacco nel pantheon della letteratura italiana: “è privilegio e sorte di ben poche opere, che sembrano scritte per i semplici e a fine d’evasione o d’intrattenimento essere invece destinate a testimoniare nel mondo il valore e il compito della letteratura, la quale altro non è che un’attenzione alla vita e un tentativo di verità, ma al tempo stesso la speranza di un luogo di delizie, di un giardino incantato dove non possa entrare la morte”.
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