“Orgoglioso di essere varesino“. Lo ha rivendicato il Presidente del Consiglio Mario Monti nel suo discorso alla Camera venerdì 18 Novembre. Ed ora che sta per iniziare il derby tra l’esecutivo più lombardo mai varato ed il partito maggiormente radicato sul territorio, la Lega paradossalmente all’opposizione, quelle parole pronunciate a seicento chilometri di distanza dalla città dei laghi, fanno riflettere.
Nato nel 1943 da una famiglia milanese sfollata per la guerra, i primi passi del futuro premier si snodano tra il rione Sant’Ambrogio, viale Aguggiari e le gite in bicicletta al Sacro Monte: tra i suoi primi ricordi i campionati mondiali di ciclismo del ’51.
A Varese si vive bene: la città é bella, la natura affascinante; si respira persino un’aria vagamente europea con l’insediamento dell’Euratom. Buona borghesia lombarda. “A sedici anni – ha raccontato Monti a Stefania Rossigni de L’Espresso – mio padre mi portò qualche settimana prima in Unione Sovietica poi in America. Voleva che mi facessi una idea personale delle due superpotenze”.
Ottimismo pragmatico e laborioso. Gli aggettivi con cui un varesino d’adozione, famoso in tutt’altro campo, Dino Meneghin, descrive la città, si addicono all’ex Commissario Europeo per la concorrenza: concreta operosità, senso del dovere, cattolicesimo sociale secondo le declinazioni ambrosiane, amore al senso civico ed al bene comune che i lombardi avranno pure ereditato dall’impero austro ungarico ma di cui tanto si sente la mancanza una volta giunti nella capitale.
Doti di cui Varese é ricca e che hanno permesso anche ad altri concittadini di spessore di fare bene là dove sono arrivati. Ad un collega cui domando quale sia stato il segreto dei tanti successi contro la criminalità organizzata che hanno caratterizzato la gestione Maroni al Ministro dell’Interno, risponde: “L’aver istituzionalizzato una riunione settimanale di lavoro cui partecipavano tutti i responsabili dei vari settori, abituati sino ad allora ad operare in autonomia”. “Perché – replico stupito – prima non c’era?”. “Non ci crederai, ma nessuno ci aveva pensato”.
Senso pratico, spirito d’iniziativa, amore per l’istituzione: non saranno gli unici motivi ma, in una città come Roma dove nei posti di lavoro statale lo sport nazionale é la lamentela fine a se stessa, aiutano.
23 Gennaio 1985. Un altro varesino “doc”, Giuseppe Zamberletti, riconosciuto unanimemente come il “padre” della Protezione Civile, ordina l’evacuazione di centomila persone dalla Garfagnana. I più anziani si ricorderanno ancora l’annuncio in diretta durante il Tguno delle 20 con tanto di foglio passato frettolosamente nelle mani del conduttore che, piuttosto sbigottito, non poté fare altro che leggerne il contenuto. Motivo: un allarme terremoto lanciato dal professor Enzo Boschi. Il sisma poi non ci fu, ma Zamberletti dice che quell’ordine l’avrebbe diramato anche oggi. Forse un decisionismo del genere poteva salvare, anche solo poche settimane fa, diverse vite umane.
Mauro della Porta Raffo, il “gran pignolo”, dice dei suoi concittadini che sono “anarchici di destra” dove “anarchico” non ha connotazioni politiche ma sta per una vena di sana follia che si traduce in soluzioni spesso imprevedibili: doti, insieme a quelle sopra descritte, di cui mai come di questi tempi il Premier Mario Monti, varesino, avrà bisogno.
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