In un intervento per i suoi ottant’anni al Salone Estense di Varese, il grande poeta Andrea Zanzotto con Enrico Baj (Amordilibro – marzo 2001) interveniva con profetica lungimiranza sulla crisi di una società materialistica e sulla potenza della Poesia. In uno stralcio tratto dal suo intervento, ripreso dal sottoscritto e raccolto in un libro appena uscito per la NEM (dirti “Zanzotto”) curato da Niva Lorenzini insegnante di poesia all’Università di Bologna e Francesco Carbognin, uno dei massimi studiosi del poeta di Pieve di Soligo, dice: “Tra la forza che deriva dalla poesia e la forza di dire alcunché per deprecare gli eccessi o queste mostruosità che capitano, o anche riuscire a dimenticarle per un momento, …o credere ancora come fa il mistico Jakob Böhme, che per rivelare la forza della divinità indica il flusso di un raggio di sole, su un piatto di stagno, forse ci resta la spinta a cercare i frustoli, proprio le cose più piccole, più insignificanti, a trovare, cioè, quei lampi in cui una certa forma di speranza possa assumere una espressione. (la Poesia)”
La recente e ancora in atto crisi finanziaria ed economica ha prodotto nella società una inquietante spaccatura della placida realtà occidentale e una desertificazione dei valori primari che sta portando il mondo verso una catastrofe sociale e miserie morali di una politica senza più dignità e senza rigore. Si è passati da un iper-consumo da iper-produzione a ridurre drasticamente i consumi per garantire la difesa del risparmio e della sussistenza. Tutto questo perché per la miopia politica e industriale sono venuti meno quei “valori” principali su cui è fondata la nostra società. Io non credo davvero che questa sia la strada giusta. Sono persuaso infatti, come già ampiamente trattato in epoche non sospette da una certa letteratura alternativa, l’importanza di invertire la scala valori che ci ha portato a questa crisi mondiale.
E questo significa riconoscere altri valori, già descritti con profetica lungimiranza non solo da economisti (Nouriel Roubini) ed ecologisti, (Jeremy Rifkin) illuminati, o da fisici nucleari (Vandana Shiva) pentiti, ma anche da poeti e da artisti di fama internazionale che avevano previsto tutto in epoche non sospette. Perché se nella distribuzione delle risorse la cultura, l’arte e la solidarietà, sono sempre stati quelli a cui sono destinate le briciole non si può che assistere a un progressivo impoverimento delle coscienze e il risultato di tutto questo oggi è sotto i nostri occhi.
I prodromi di questa crisi sociale, dai paradigmi del “tutto e subito”, “lo sterminio dei campi” “ di una speculazione edilizia esasperata” (l’arresto della famiglia Ligresti docet) di “un razzismo strisciante” fino alle scellerate “rottamazioni”, d’ogni cosa pur di vendere il nuovo, l’inutile, il non indispensabile a cui sono principalmente ispirate le campagne del profitto degli ultimi anni erano il campanello d’allarme a cui avremmo dovuto fare più attenzione. Perché ora sono i giovani a farne le spese, i nostri figli, i nipoti, che non hanno lavoro e a cui non è destinato lo stesso futuro che i nostri padri hanno garantito a noi. Eredi “sfigati” o meglio sfigurati dal pensiero della mercificazione a tutti i costi, dalla produttività esasperata, dal prodotto interno lordo, dalla globalizzazione delle merci e come ha detto bene Papa Francesco, ha coinciso con l’indifferenza globalizzata. Questa discrepanza tra la disinvoltura delle agenzie di rating mondiali e la lungimiranza dei movimenti di liberazione ha prodotto le sue laceranti contraddizioni, creando un vuoto morale, un impoverimento inarrestabile delle società occidentali che si trovano smarrite di fronte alla caduta degli idoli materialistici.
Se all’uomo fosse stato insegnato il senso dell’equilibrio, dell’armonia, della bellezza, della solidarietà, dell’amore, e il bene anche economico della cultura e questi valori fossero stati anteposti alla logica della speculazione, del profitto, poteva anche non finire così. I poeti lo sanno da almeno cinquant’anni, quando le campagne si spopolavano di braccia forti che inseguivano il sogno industriale, sradicando non solo uomini e storie, ma tradizioni e costumi, per svanire nei quartieri dormitorio, asfittici e alienanti, nella emarginazione, e nella indigenza. Così come il vitello d’oro di Aronne e Mosè del Sinai, ben diverso dal vello d’oro che Ermes donò a Nefele, il primo segnò la prima trasgressione del popolo eletto, l’altro secondo la mitologia greca, la pelle di un ariete alato, la capacità di volare. Questi due paradigmi della società sembrano creare la metafora tra la realtà che è stata tutta proclami e distintivi e la fantasia al potere quella dei poeti e dei movimenti di liberazione degli anni ’70.
Certo questa è una provocazione, ma mentre il primo preannunciava la fine dell’era della schiavitù (il consumismo) l’altro, la possibilità di “volare” (l’arte, la poesia) sopra questi falsi valori stereotipati dal pensiero dominante. La nuova “Terra Promessa”, cioè indicare una via, così come nella Bibbia, è una nuova possibilità, l’ennesima occasione, che ha l’uomo e che non deve sprecare, perché oggi più che mai è indispensabile un nuovo pensiero cre-attivo, un pensiero ecologicamente attivo che abbia per comune denominatore la condizione alta del pensiero della bellezza, rispetto a quello di produrre pattume all’infinito.
Insisto molto su questo punto perché sono fermamente convinto che all’uomo, per uscire da questa nuova schiavitù del pensiero dominante crisi = povertà serva capovolgere completamente, come dicevo sopra, i valori che l’hanno sospinto fino al baratro in cui ci troviamo. Ma bisogna partire da capo e riformare le nuove coscienze con gli strumenti capovolti dove nel nuovo mondo sia fondamentale l’apporto della Poesia, sia come valore salvifico della mente (the poetry save the world) che come impegno sociale.
Si sta delineando una nuova epoca, si stanno diminuendo i consumi mandando sul lastrico migliaia d’imprese, ma l’unica vera risorsa che potrebbe salvare l’Italia è il nostro patrimonio artistico e culturale che intanto va alla malora, e che tutto il Mondo ci invidia e solo perché si vuole salvare lo Stato, con gli stessi balzelli, i privilegi, gli ecomostri, gli sprechi senza fine, che ci hanno portato fin qui. Dobbiamo invertire la rotta per il bene dei nostri figli, per l’uomo che giorno per giorno si profila sempre più accorto, dove tutto viene misurato e oculato si identifica questa nuova opportunità sociale, non più la logica autofagica, del mangiare bulimico e autodigerirsi, per consumare e quindi produrre, ma masticare piano per digerire meglio.
La Poesia impone lentezza, riflessione, generosità, lentezza della vita e riflessione sui particolari che la quotidianità ci impone, generosità verso l’altro che soffre.
Non più una mente umana manipolata dalla pubblicità e dalla persuasione occulta dei media di “basso pedale”, ma un deflagrazione dal di dentro di una pensiero cre-attivo che riporti l’uomo alla dualità mente-corpo che ha sempre rappresentato. I bambini e i poeti avrebbero fatto meglio dei nostri governanti, delle agenzie di rating, delle borse nevrotiche, dei financial project, degli imperi della speculazione che hanno rovinato il mondo.
Nel Don Giovanni di Moliere l’educazione liberale segna la fine del perverso, scaturito come negli ultimi vent’anni dalla morale della quantità, piuttosto che della qualità, del facile e non del difficile, e credo che una massaia più oculata, un buon padre di famiglia governerebbero meglio questo mondo.
L’universo dei valori così rifondati sarà il nuovo volano economico che non girerà più intorno al mondo produttivo dei numeri, ma a quello del nuovo uomo e della bellezza che fu anche nel Rinascimento un valore aggiunto alle menti pensanti, di cui ancora oggi l’Italia ne coglie i frutti e gli insegnamenti. E Montale in un verso famoso dice: “Si dismemora il mondo e può rinascere”.
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