Dev’esser vero che certe immagini percepite nell’infanzia, si sono impresse non solo negli occhi, ma soprattutto nel cuore.
Il Baj, ad esempio, racconta che da bambino fu vivamente impressionato dallo stemma dei Visconti, Signori di Milano.
Uno stemma che raffigura un serpente favoloso (o forse un drago) che inghiotte un bambino. Pare che l’origine di tale stemma sia molto avventurosa e risalga alla prima Crociata. Nel 1099, durante l’assedio di Gerusalemme, un Ottone Visconti, che comandava il contingente dei lombardi, si sarebbe battuto in duello con un guerriero saraceno.
Ottone, vincitore, si sarebbe impadronito delle armi e delle insegne del nemico, tra cui appunto lo stemma del biscione che porta tra le fauci un bambino, che da allora divenne l’emblema della casa Visconti. Stemma usato poi, per estensione, per tanti prodotti nati all’ombra della Madonnina, compresa una fabbrica di automobili da cui è uscita anche quella che al Baj è stata più cara (in ogni senso).
Ma il Baj bambino nulla sapeva di storia, di araldica e neppure di automobili e il motivo per cui lo impressionò lo stemma dei Visconti va ricercato nel fatto che lo vide dopo che già aveva preso conoscenza, nel linguaggio di famiglia, di un’espressione altrettanto impressionante. I vecchi infatti dicevano di una donna anziana, alta, filiforme, dinoccolata, dai capelli canuti, eppure vitalissima nella sua cattiveria di vecchia malvissuta, che era come la bissa bianca.
Ancestrale è il timore dei serpenti. E quell’essere serpe femmina e per giunta bianca, non faceva che aumentare il potere orrorifico dell’immagine. E se poi i bambini, raccolto tutto il coraggio, tentavano di avventurarsi nel mondo del fantastico spaventoso e domandavano quali mai fossero i comportamenti di tale bissa bianca, la risposta ottenuta era peggiore di ogni immaginazione: la mangia föra i fiöö di cünn!
Mangiar fuori i bambini dalle culle appariva azione mostruosamente orrenda ma altamente improbabile. Ma ecco, a confermare la possibilità di tanto mala azione, apparire poco dopo all’orizzonte lo stemma dei Visconti, non si sa in quale circostanza né se visto su carta o pietra o affresco. E così, se il serpente dei Visconti era stato colto nell’atto di ingoiare un bambino, tratto presumibilmente dalla sua culla, analogamente poteva ben darsi che una bissa bianca si aggirasse nei dintorni pronta a mangiar fuori i bambini dalle lor culle, alla prima distrazione o assenza materna!
Certo, la corrispondenza tra bissa bianca e biscione visconteo non era perfetta. Ma del resto la bissa bianca e il biscione verde-azzurro erano a loro volta diversi dalle bisce e dalle vipere che si vedevano sempre con orrore nei prati, nei boschi, nelle pietraie…
I vecchi, con paure forse esagerate, mettevano in guardia i piccoli dall’incontro con l’aspas (o èspas), l’aspide, il più velenoso dei rettili nostrani. Il più cattivo: tanto che si diceva catív cumè n aspas, anche se, come spesso capita coi cattivi, dall’aspetto non sembrava pericoloso.
Molti anni dopo il Baj avrebbe trovato conferma a queste paure in alcune efficacissime righe della “Cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda. Queste:
“Il Poronga portava un cestello di funghi ch’egli sapeva cogliere non venèfici a pie’ de’ castani, dopo ogni dacquata, e guardandosi in anticipo, con un suo bastoncello ficulno, dalla mollezza cafferognola dell’aspide; il quale, aggrovigliato su sé stesso, parrebbe a non essere pratici una semplice e innocua merda: guai però a chi ci mettesse il piede.”
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