Può certo stupire che in tempi come i nostri, in cui la società propone tanti modelli di famiglia e si è affermata una nuova e diversa visione del rapporto di coppia, si voglia affrontare il tema dell’adulterio, quale segno della crisi, per alcuni irreversibile, che travaglia ordinamenti e stili di vita. Nel nome della libertà individuale non se ne fa più generalmente oggetto di grave censura; non allarma le coscienze nella misura in cui la tradizione, il comune sentire, fino a tempi non lontani vi ravvisava un fenomeno di fatale disgregazione. Quale reato è stato anche in Italia depenalizzato nel 1969 (prima l’art. 559 del C. P. lo puniva con la reclusione fino ad un anno, sino a due in caso di relazione adulterina).
Il settimo comandamento della Bibbia ebraica, sesto nella catechesi cattolica, è esteso nell’accezione del Catechismo romano, pubblicato nel 1566 per decreto del Concilio di Trento, al commettere atti impuri. Questa è la versione di non moechaberis (al divieto della colpa – due pagine di commento – fa seguito l’imposizione della castità dell’animo e del corpo – cinque pagine). I termini esatti sono recuperati nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, non così nel Catechismo degli adulti della CEI.
Nei tempi contemplati dal Pentateuco l’adulterio è severamente punito (con la morte) in quanto lede il diritto di proprietà, che ogni uomo sposato esercita e conserva nei riguardi di sua moglie, come il padre nei confronti della figlia. L’uomo può commettere adulterio solo nei confronti di un matrimonio altrui, la donna solo nei confronti del proprio. Ma più ancora si tratta di un attentato alla continuità della famiglia nell’integrità della discendenza. L’osservanza della prescrizione poi rientra nel progetto di santificazione del popolo di Dio. La massima riprovazione è nel Decalogo di Filone di Alessandria, che lo pone al primo posto della seconda Tavola. La morte avveniva per lapidazione (Dt 22,28) o per strangolamento. I Profeti ne parlano come metafora del tradimento di Israele verso Dio, ma anche in senso proprio (Ger 7,9; Ez 33,26). Nella letteratura sapienziale (la Sapienza è una persona divina, figlia di Dio,sua primogenita) la responsabilità dell’adulterio è imputata alla donna, che seduce l’uomo stolto, promette gioie celestiali per indurre al fallimento e alla rovina, materiale e morale.
Cristo, che ha mantenuto sempre grande libertà nei confronti delle donne, in contrasto con la paura che ha sempre contraddistinto la religiosità giudaica del tempo,non ha certo intenzione di abolire la Legge, bensì vuole ampliarne e approfondirne la portata. Mt 5, 27-28: Avete inteso che fu detto: Non farai adulterio. Io invece vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, già ha commesso adulterio con essa nel suo cuore. È una riprovazione anche della concupiscenza negli occhi, dello sguardo lascivo, la condanna della volontà di appropriazione e di possesso. L’adulterio del cuore è altrettanto trasgressivo. Ed il pericolo maggiore viene dall’uomo, non dalla donna. La proposta è di un vincolo coniugale sostanziale di reciproca fedeltà in una visione unitaria della persona umana. Gesù nega anche la legittimità del ripudio. L’uomo e la donna sono stati creati per unirsi, non per separarsi. Mt 19,6: Quello che Dio ha congiunto l’uomo non separi. Comunque a conclusione dell’episodio dell’adultera le parole di Gesù sono di misericordia, ma non condiscendenti verso l’errore: Neppure io ti condanno. Và, e d’ora in poi non peccare più (Gv 8,11). Quanto a Paolo questa è la sentenza: gli adulteri non erediteranno il Regno di Dio ( 1 Cor 6,9).
Alla linea del rigore si attengono il Pastore di Erma, Origene, Tertulliano, non Cipriano. Dal IV – V secolo si sviluppa una visione sessuofobica del rapporto uomo-donna, mentre la Riforma protestante attribuisce al matrimonio un onore addirittura superiore alla condizione di verginità e celibato.
In Grecia alle donne si imponeva che si astenessero da qualunque rapporto sessuale, se non entro la sfera del matrimonio. In Roma, nei primi secoli della città, si celebrava la virtù delle matrone (con la morte di Lucrezia si affermarono libertà e nascita della repubblica), ma Catone sottolineava la diversa condizione di maschi e femmine così: se lei sorprende te (in adulterio), invece, non può toccarti neppure con un dito. E ancora Catone (Livio 34, 3, 2): non appena (le donne) avranno la parità, ci comanderanno. Colla decadenza dei costumi e l’emancipazione progressiva ecco nel 18 a.C. la Lex Iulia de adulteriis, con l’affidamento anche ai cittadini della richiesta di punizione, prima riservata a padri e mariti, quindi la denuncia affocata e misogina di Giovenale . Nel III e IV secolo d.C. peraltro si delinea una forte tendenza ad estendere i limiti di impunità dei mariti.
Nel 1588 a Milano entra sulla scena l’omicidio honoris causa: infamante è per il marito non farsi giustizia di persona. Mentre il Codice Zanardelli (1890) e il Codice Rocco (1930) riconoscono il diritto alla vendetta agli ascendenti maschi, ai fratelli e alla sorella, il Codice austriaco del 1811, esteso al LombardoVeneto nel 1816, punisce come reato anche l’adulterio del marito, a differenza della legislazione napoleonica rivolta solo a punire l’adulterio femminile.
Oggi il problema dell’adulterio concerne soltanto il foro interno della coscienza (sotto lo sguardo vigile della Chiesa), si ritiene di dovere affidare all’autoregolamentazione dei coniugi la risoluzione delle offese e dei conflitti (si è tra l’altro introdotto il divorzio), si reputa, oltre il vincolo giuridico, che debba valere il fattore amore, e alla luce però di quest’ultima considerazione il fenomeno dell’adulterio, ampiamente diffuso nell’ambito di entrambi i partner, non è certo significativo di una confortante coesione sociale.
You must be logged in to post a comment Login