Il 27 luglio di cent’anni fa nasceva a Luino Vittorio Sereni. Ecco come ne ricordò la figura Piero Chiara, suo compaesano e coetaneo, in occasione della scomparsa, avvenuta trent’anni orsono*.
Il 10 febbraio scorso si è spento a Milano, improvvisamente, Vittorio Sereni, il poeta nel quale si è riconosciuta l’ultima generazione creativa di un secolo che sta finendo, gradatamente, nel silenzio della poesia, che è come dire nel silenzio dello spirito.
“Ecco le voci cadono e gli amici sono così distanti che un grido è meno che un murmure a chiamarli”aveva scritto chiudendo il suo primo libro, “Frontiera”.
Sereni è stato sepolto a Luino, suo e mio dolce luogo nativo, il 12 febbraio: una giornata di quelle nelle quali può culminare la vita di un poeta. Il nostro paese gli aveva preparato uno scenario di lago azzurro, di nubi argentee, di nevi bianchissime sui monti, chiuso in un cristallo di gelo. Tre anni or sono, in una giornata simile, a Luino dove ci si incontrava ogni mese, assorto nella luce di gennaio Sereni aveva iniziato, quasi tentando una corda segreta, una poesia che può essere collocata in un punto qualsiasi della sua opera, perché non appartiene a uno svolgimento qualsiasi, ma solo al tono più profondo e sommesso della sua voce:
“Stavo giusto chiedendomi se fosse argento di nuvole o innevata sierra cose di cui tuttora sfolgora l’inverno…”Quei versi apparvero sull’Almanacco luinese “La Rotonda” che dal 1979 avevamo cominciato a fare insieme con Claudio Barigozzi, Daniele Piccardi e Bianca Bianchi, dichiaratamente “per legare la storia e la vita di una piccola città al tessuto culturale della nazione”, ma inconsciamente per scendere insieme alle radici del luogo nativo e cercarvi, ognuno per proprio conto, il segno primo dell’esistenza, la spiegazione di noi stessi attraverso quel frammento d’universo che ci era toccato in sorte o che avevamo meritato di possedere, anche per poco, per il breve tempo della vita.
Il 18 gennaio di quest’anno, l’ultima volta che il nostro piccolo gruppo si era riunito a Luino, Vittorio ci aveva consegnato un dattiloscritto di sette pagine per il prossimo numero della “Rotonda”, quello che uscirà a dicembre con la data del 1984: un anno che non apparterrà più alla sua storia. “Leggetelo” aveva detto. “A me pare un po’ troppo personale. Forse non va bene per la ‘Rotonda’…”
L’ho letto dopo la sua morte. Comincia con questa frase: “C’è stato per me un tempo di spiccata predilezione per l’inverno…”. Poi continua: “Per un certo periodo l’inverno entrò nelle metafore che andavo tentando… Dev’essere stato tra la fine del ’36 e l’inizio dell’anno successivo, in occasione di un mio ritorno dalle nostre parti dopo molti anni di assenza. Smettila di corteggiarmi – disse al viaggiatore il paesaggio innevato su tutta la sua estensione – smettila di starmi attorno con parole. Sopraffatto dallo sfavillio della giornata di sole sopraggiunta sull’intero arco montuoso fulgido di neve, vivevo uno di quei momenti di completezza, di piena fusione tra sé e il mondo sensibile, grazie e di fronte ai quali lo spirito desiderante si appaga di se stesso, rifiuta i contorni, sdegna ogni soccorso specie di parole – dissuaso com’è nel cimentarsi nella sfida che lo sguardo gli propone”.
Dopo questo incipit, scritto certamente tra il dicembre dell’anno scorso e il gennaio di quest’anno, per sei pagine, fitte, lucide e smaglianti, Vittorio si inoltra in un esame degli effetti che la poesia di Montale aveva prodotto su di lui e sul nascere e il formarsi, a quel confronto, della sua propria forma poetica. Vi è, spiegata per la prima volta nei suoi nessi ispirativi, la struttura originale di alcune delle sue più famose poesie, da “Inverno a Luino” e “Terrazza”, fino ai quattro memorabili versi:
“Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema ma pari più non gli era il mio respiro e non era più un lago ma un attonito specchio di me una lacuna del cuore”Il lungo scritto di Vittorio termina con un preciso cenno al ritorno verso quelle ispirazioni, col nascere della nostra rivista luinese “La Rotonda”, visto come “un nuovo capitolo, tutt’ora in corso”, venuto ad aggiungersi alle sue lontane suggestioni luinesi. “Non è la prima volta” dice nelle ultime righe “che un fatto in apparenza esteriore comporta conseguenze profonde e che queste lavorano dentro di noi”.
Lo scritto di Vittorio Sereni che il fascicolo 1984 della “Rotonda” gelosamente custodisce, aprirà, in sua memoria, quello che sarà probabilmente l’ultimo numero di queste effemeridi luinesi nelle quali lui aveva creduto come ad un luogo di confessioni segrete, di intime risonanze, di quella “che non è e non ammette di essere” una fantasia, ma che invece, anche in così umile veste e in così appartata sede, “si sforza di essere”, sono parole sue, “percezioni di realtà che fermenta e prolifera”.
Così possono ricordare Vittorio Sereni quelli che gli sono vissuti vicino, vale a dire chiunque si sia accostato alla sua poesia, perché questo è il privilegio dei poeti: essere intimi e quasi confusi insieme a chi, in ogni tempo e in ogni luogo, cerchi se stesso nelle loro parole.
L’immagine sfavillante di sole e di gelo, di nevi e di nuvole che Luino offrì a chi lo accompagnava nell’ultimo viaggio, ha tutto il peso e il significato che lui sapeva dare a un nome, a un oggetto, a un’ora del tempo. Come ogni cosa da lui nominata, il paese, il paesaggio, un colore, un qualsiasi strumento umano, diventa parte viva dell’esistenza di tutti, della vita universale. Per questo elementare prodigio che è concesso solo ai veri poeti, il suo ricordo, così strettamente legato ai suoi versi, non è un labile rito commemorativo, ma un segno profondo dell’essere, un continuo e allarmato messaggio.
*Il brano è tratto da “Sale & Tabacchi”, Mondadori Editore, 1989
La foto di Chiara e Sereni a Luino nel 1947 è tratta da “Piero Chiara per immagini”, a cura di Federico Roncoroni e e Massimo Lodi, Benincasa Editore, 1990
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