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Attualità

EVASIONE FISCALE, UNA PIAGA DOLOROSA

LIVIO GHIRINGHELLI - 12/07/2013

Masaccio, Il tributo (particolare), Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci

La dottrina cattolica, sulla scorta di Paolo (Rom 13,7), sottolinea il dovere civico di pagare i tributi. Ben più noto è l’episodio narrato nei testi evangelici ( Mt 22,15-22; Mc 12,13-17; Lc 20,20-26) della tentazione ordita dai farisei nella loro ipocrisia a Gesù in merito al tributo da corrispondere a Cesare. Franca e decisa la sua risposta positiva.La Chiesavede nella finanza pubblica uno strumento potente al fine di promuovere sviluppo e solidarietà, sempre che risulti al contempo equa, efficiente ed efficace. Deve essere orientata al bene comune e osservare criteri di razionalità nell’imposizione. A sua volta lo Stato deve risultare credibile nel garantire sistemi di previdenza e di protezione sociale destinati ai più deboli e un valido sostegno alle famiglie, cellule fondamentali dell’organismo.

Tutto si inquadra nella logica della solidarietà e di una autentica uguaglianza. Dinanzi ci troviamo due paradigmi, quello individualista, che contraddistingue una società caratterizzata dalla competizione, nella corsa sfrenata a perseguire i propri interessi e quello personalista e solidale, sempre inteso alla ricerca dell’inclusione e dell’armonia nella condivisione di una progettualità di fondo. Solo così può essere esercitata un’azione correttiva delle distorsioni sociali grazie allo strumento fiscale.

Tanto più contano l’efficienza e l’efficacia delle misure della Pubblica amministrazione in momenti in cui si è travagliati dalla drammatica scarsità delle risorse disponibili, cosicché grazie al combinarsi di prelievo fiscale e contenimento della spesa pubblica si possano conseguire una redistribuzione del reddito compatibile con una società equilibrata e i diritti che una società veramente democratica comporta (senza ritorni all’egoismo di certe ispirazioni censitarie).

A sua volta la nostra Costituzione, ancora felicemente valida nella sua ispirazione fondamentale, sancisce all’art. 53: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Purtroppo preoccupano una pressione fiscale elevata al 53% e un’evasione massiccia, che si presume dell’importo di ben 180 miliardi di euro, laddove i dati del 2011 denunciano un recupero attraverso accertamenti di soli 7,2 miliardi (un misero 4% del totale). Equitalia dovrebbe ancora riscuotere 545 miliardi di arretrati, impresa ben difficile a realizzarsi. Nel 2009 gli italiani hanno speso 918,6 miliardi, ma ne hanno dichiarato appena 783,2 di introiti. L’anno scorso il mercato nazionale dei beni di lusso ha fatto registrare un ammontare di 15 miliardi e da noi è pur presente il 5,7 % del totale della ricchezza planetaria. I dati comparativi fanno luce su un’economia sommersa, che nel nostro Paese riguarda il 27% del Pil, mentre in Germania si scende al 16% e in Francia al 15%. Se in Svezia la pressione fiscale ascende a ben il 56,4 % del reddito (peraltro con un welfare largamente soddisfacente), si riesce a ridurre l’evasione al 7,6%.

Il tutto si risolve a favore dei ceti medi affluenti e dei grandi percettori, mentre l’82 % del gravame nel 2011 si è esercitato, nonostante le inveterate proteste degli interessati a causa della sperequazione, sull’impiego fisso e sui titolari di pensione.

Non si vuol fare d’ogni erba un fascio, ma nel settore delle professioni e del lavoro autonomo (altissima ne è la presenza) quanti scontrini e ricevute fiscali non sono rilasciati! Disponiamo di una macchina fiscale faraonica, all’avanguardia della tecnologia informatica, alla quale però corrispondono una volontà politica tutt’altro che adeguata delle varie maggioranze, specie di quella che è stata più a lungo al potere nell’ultimo ventennio, il ricorso agli scudi fiscali che incoraggiano l’evasione, un catasto arretrato che contempla spesso valori quasi da edilizia popolare, soprattutto una bassa percezione del fattore di rischio, in cui incorre il popolo degli “infedeli”.

Oltre il 27% dei 41 milioni di contribuenti non dichiara nulla e l’elusione è pure ingente. In altri paesi ci si avvale di una misura efficace per combattere il fenomeno: mettere in contrapposizione gli interessi dei prestatori d’opera con quelli di chi se ne avvale e fruisce così di consistenti riduzioni ai fini dell’imponibile. Ma è nella riforma del costume, graduale e peraltro costante nell’attuazione, che la coscienza collettiva può trovare il suo difficile, ma doveroso riscatto. Ne va della nostra dignità nel consesso dei popoli.

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